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Ah ….. ATAC

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Immagine tratta da Google

Ieri, venerdì 28 luglio, alle 15 e 25 scendo dal treno alla stazione di Roma S. Pietro. Alle 16 ho un appuntamento a Largo Argentina; nessun problema, proprio all’uscita della stazione c’è il capolinea del benemerito 64 che arriva a Termini e passa proprio lì dove devo andare io. La mezz’ora disponibile è più che sufficiente per arrivare in tempo; per di più, al capolinea è gà ferma una vettura con poche persone a bordo; basta salire e sedersi, cinque o sei fermate ed è fatta.
Però… devo dotarmi di biglietto o “titolo di viaggio” che dir si voglia. Mi rivolgo ai simpatici, anziani gestori del bar della stazione; con cortesia mi dicono che anche i biglietti per i mezzi ATAC sono in vendita presso le biglietterie di Trenitalia. Ringrazio e mi avvio alla biglietteria; che, però, è chiusa. Non mi sorprendo, anche perché lì intorno ci sono almeno quattro macchine automatiche dalle quali con un po’ di attenzione e molta pazienza, si può estrarre un biglietto per qualsivoglia destinazione ferroviaria. La pazienza è necessaria per sopportare lunghe prediche inutili (state attenti ai borseggiatori, non chiedete informazioni a sconosciuti e simili) che – in aggiunta a poche utili istruzioni – una voce metallica emette dall’apparecchio.
Mi viene da ripensare a quanto mi è capitato due giorni prima in banca. Ero andato per versare un assegno sul mio conto corrente; allo sportello, l’addetto mi fa notare che la sua postazione elettronica sta subendo un controllo tecnico e mi suggerisce di usare l’impianto che troneggia poco lontano. A prima vista mi sembra un terminale per bancomat; ma le dimensioni della “scatola” sono molto più grandi e il display è molto più complesso. Con curiosità e cautela, inizio la pratica; e, seguendo le istruzioni, in questo caso scritte, non urlate come per le distributrici Trenitalia (altrimenti le orecchie dei lavoratori non reggerebbero, visto che questa apparecchiatura è all’interno degli uffici) arrivo felicemente in porto. L’assegno, infilato in una fessura al momento giusto, è stato versato sul mio cc e io ho in mano un biglietto che certifica il tutto. Confesso, sono compiaciuto.
Le distributrici Trenitalia e l’automa bancario alimentano la mia fiducia nella tecnologia anche mentre cerco il biglietto per il 64: forse c’è una distributrice automatica sulla vettura; ricordo di averne trovate, anche se non sempre. Salgo e cerco: la distributrice non c’è. Mi rivolgo al conducente che siede al suo posto e – dopo avergli raccontato la mia breve odissea – gli chiedo se, in caso di controllo, potrebbe testimoniare della mia impossibilità a dotarmi di biglietto; come faccio, per evitare la multa, con il “capotreno” quando nella piccola stazione da cui abitualmente parto, la distributrice automatica non funziona. Risposta: “Io devo guidare e basta”.
Scendo e prendo un taxi. Il breve viaggio è non solo comodo ma anche utile. Racconto al giovane che siede al volante quel che mi è appena capitato. Lui mi fornisce le seguenti informazioni:
1. Sui mezzi ATAC solo il 30% paga il biglietto (non so se sia vero)
2. Le distributrici automatiche, da qualche tempo, sulle vetture non ci sono più
3. La multa per chi non ha il biglietto (io avevo detto “di cento euro”) è stata portata a duecento.
Stamattina, i giornali sono pieni di articoli sulla crisi dell’ATAC.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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