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Società

Bambini invisibili

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Quando ero pre-adolescente non si parlava di Parental Alienation Syndrome, ma ricordo perfettamente le fughe da mio padre davanti a scuola, le telefonate interrotte, le domande incessanti. Perché gli hai parlato, ma tua madre, sì tuo padre, ma che ha fatto lui, che ha detto lei, come vive, i sorrisi ironici, i moti di rabbia, le sfuriate verso un altro, sempre mutevole, fatte davanti a te soltanto. Perversamente chiusa nel ruolo di unico tramite tra due genitori ostili che sembravano dimenticare che non ero un accrocchio di transistor, una stupida ricetrasmittente, ma fatta di sangue e carne.
Emozioni lacerate, con mani troppo piccole ed inesperte per rappezzarle. E poi giudici, carte bollate, soldi che mancavano sempre, anche se non avrebbero dovuto, sentirsi in colpa per non essere stata sufficientemente ostile nei confronti dell’altro genitore, mai lo stesso. Imparare la calma profonda quando tutto si sfalda e devi essere, tra due genitori bambini, l’adulta. Sigillare le emozioni in un budello senza fondo, dove io stessa – a distanza di anni – fatico a trovarle.
Non sono unica purtroppo.
Figli come pacchi postali, come scudi e strumenti di offesa. Fatti di morbida carne e innamorati, loro malgrado, di quell’uomo e quella donna che facendosi guerra, maciullano quell’intero da essi generato e che porta gli occhi di un figlio. Il concepimento di un essere umano è ciò che ci avvicina a Dio, che non si trasformi in violenza perché, signori padri e signore madri, un bambino non chiede di venire al mondo, non può scegliere, e non si tratta di un elemento trascurabile.
Mentre scrivo a letto, mia figlia si accoccola tra le mie braccia, con una mano le accarezzo i capelli, con l’altra reggo il tablet e riguardo quello che ho scritto.
– Mamma, guardami – mi dice con la vocina impastata dal sonno e gli occhi socchiusi. Appoggio l’Ipad e la guardo, a lungo. Sì ti guardo. Lo sguardo attento dei genitori è ciò che fa uscire i bambini dall’invisibilità, soprattutto nella loro giovane coscienza, un lusso che ai bambini contesi non è concesso.

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PAOLA GIANNELLI

Pugliese d’origine, milanese d’adozione, mamma, moglie e blogger (Parla con noi di Repubblica D e Stavo Giusto Pensando) ho sviluppato il mio percorso professionale all'insegna della curiosità e delle nuove opportunità. Ho iniziato la mia carriera come ricercatrice economica nel settore dell’economia agroalimentare presso il centro studi Nomisma subito dopo il conseguimento del master in International business administration negli Stati Uniti, per poi approdare alla consulenza direzionale di tipo strategico in CAP GEMINI Ernst & Young. Sono ora consulente indipendente, specialista in internazionalizzazione delle imprese del Made in Italy sui mercati esteri, asiatici in particolar in particolar modo, e annovero un passato da globe trotter per necessità (dagli Stati Uniti, Brasile e Argentina, alla maggior parte dei Paesi del Sud-est asiatico, passando per l’Europa). Precocemente attratta dalla scrittura che mi ha portata a buttare giù appunti e storie sui supporti più disparati (dagli scontrini del supermercato, ai sacchetti del pane, al palmo delle mani). Negli ultimi anni ho sviluppato una seconda focalizzazione professionale partita con l’adesione al progetto di Ellerì.

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