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Bar e ristoranti Senza musica a palla

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Milano_Jamaica - Foto Ugo Mulas 1953-54 - Con il proprietario Elio Mainini

#localiperpensare – è l’hashtag che sta girando su twitter. Io dico: sì, anche solo per chiacchierare in pace. Lo ha lanciato Gianluca Nicoletti nella sua rubrica su la Stampa. Io aderisco, subito.
Ricordo, tanti anni fa, i meravigliosi bar di habitué dove a Milano ci si trovava, l’Oreste in piazza Mirabello, l’Angolo e il Giamaica a Brera, dove noi studentelli facevamo amicizia con scrittori e artisti. Dove nascevano amori e idee creative. Dove la vita ferveva. Niente juke box, ma biliardo, flipper e 8americano – un gioco di carte intelligente e non d’azzardo. Ma soprattutto si parlava, e facilmente si pensava.
Ora sono vecchia e vivo a Roma. E ricordo la Roma dove in piazza Navona, del Pantheon o del Popolo si incontravano amici e si viveva una vita vera. Ho anche un lontano di ricordo di via Veneto, da bambina, intimidita, al tavolino di un caffé che forse era Doney, con la mia bellissima madre, a ascoltare i discorsi di famosi, e bravi, scrittori e giornalisti.

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Adesso non è più così. Domenica scorsa, nella pur amatissima Campo dei Fiori, per rifugiarci dalla pioggia scrosciante e mangiare qualcosa, abbiamo dovuto girare tutta la piazza, con mio marito che entrava in avanscoperta, per trovare un posto dove io potessi entrare senza senza sentirmi male. Sì, perché io soffro di iperacusia catastrofica, regalo del malefico incontro tra una forma di autismo a alta efficienza (che rende molto sensibile ai rumori), e un infarto cocleare, che mi colse nei miei 50 anni, e mi spazzò via dalla vita sociale.
Sì, ma non tutti gli aspiranti clienti dei #localiperpensare sono invalidi come me. Ci sono ancora giovani (e pure non più giovani) che sono intelligenti come i lettori di questa Rivista – e che non hanno necessità di un gran rimbombo intorno a sé, per scordare il gran vuoto che hanno in testa. Perché la testa ce l’hanno.
Persone normali che han voglia di ritrovarsi fra loro in ambienti tranquilli, per intrecciare conversazioni spiritose o anche serissime. Per fondare eterne amicizie, riviste online, movimenti liberatori. Per procurarsi ricordi da far durare tutta la vita. Per divertirsi o innamorarsi, guardandosi in faccia e parlandosi. La vita è questo, e io lo so perché non posso più averlo.
E quindi vi prego, lettrici e lettori di Ellerì, fatemi sapere se in Italia ci sono ancora luoghi da vivere. Aiutatemi a diffondere questo appello. E se siete romani soprattutto: troviamo un posto dove incontrarci e stare insieme.

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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