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Società

Con Monti fine della Ipocrisia?

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novembre, con la chiamata di Monti, è stato certificato che i “partiti” presenti sulla scena politica italiana sono incapaci non – come si è detto e si dice – di affrontare l’emergenza; ma, semplicemente, di governare.
Il Parlamento ha votato la fiducia al governo Monti; significa che l’Italia vuole continuare ad avere un regime nel quale i governi, per essere legittimi, devono ottenere quella fiducia. Non significa, invece, che sono ancora i partiti a tenere il timone. Al contrario: è la dimostrazione che perfino loro sono consapevoli della propria inadeguatezza e del proprio fallimento.
Nelle ultime 48 ore, dal lontano Oriente, Monti prima avverte che se le sue scelte di governo non sono accolte lui , non “tira a campare”; se ne va. Poi ricorda che – come sappiamo tutti – il consenso ai partiti è a livelli infimi.
Nelle stesse ore, a Roma, i partiti si accordano per una legge elettorale che dovrebbe renderli arbitri assoluti del governo.
La divaricazione non potrebbe essere più netta, né rappresentata con più icastica evidenza. Stiamo entrando in un finale di partita difficile e drammatico. Viene da pensare alla Francia del 1958: la posta in gioco è la stessa, la governabilità, di cui nessun Paese può fare a meno. Non so quanti se ne rendano conto, e quanti abbiano in testa le mosse da fare e quelle da contrastare. Intanto, mi sembra il caso di smetterla con l’ipocrisia e di dire ad alta voce come stanno le cose e qual è il nocciolo della questione.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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