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Caro Renzi, ti riscrivo

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Caro Renzi, ti riscrivo

dopo 419 giorni; tanti ne sono passati dall’8 dicembre 2013, quando ti ho spedito la mia prima letterina. “Non so se ce la farai” ti dicevo subito. Questa volta non posso cominciare allo stesso modo, perché “ce l’hai fatta”. Il passaggio era arduo e pericoloso. Tanti erano a caccia della volpe; quando mai si sarebbe ripresentata un’occasione così propizia per farti la pelle?.

Dopo le primarie che ti elessero segretario del PD ti ringraziai per il senso di leggerezza che la tua vittoria mi aveva fatto assaporare, la leggerezza che si avverte quando sembra che coraggio e speranza prevalgano sull’inerzia e sulla paura.

Adesso, al piacere della leggerezza si aggiunge il gusto dell’intelligenza. Un gusto assoluto, che non ha bisogno di condimenti per essere assaporato. In un tw ho scritto: seguire Renzi in questi giorni è stato come guardar giocare Federer quando è in forma.

Confesso, però, la mia meschinità: il piacere si è moltiplicato di fronte allo sconcerto, alla incredulità, infine alla falsa euforia di quelli che da settimane e mesi sono in attesa del tuo scivolone, meglio ancora di una tua rovinosa caduta.

Via via il loro desiderio si è espresso in modo sempre più osceno. La rottura di Gotor e compagni al Senato sulla legge elettorale secondo loro preludeva al peggio per l’elezione presidenziale. Come potevi evitare la tagliola? O stavi al losco “patto del Nazareno” e ti rassegnavi a fare il “tender” di Berlusconi, o saltava la maggioranza che ti tiene in piedi.

Insomma, erano convinti che il tacchino fosse cotto, e mancasse solo di portarlo in tavola con contorno di patatine. Poi la partita è entrata nel vivo e si è conclusa con il fatidico “game, set, match” a tuo favore. Che piacere vedere i cervelloni che raccontano ogni giorno la politica come sotterfugio, squallore e manovra, spaesati e in fuori gioco di fronte ad una azione motivata, razionale, condotta e conclusa in modo lineare, semplicemente con intelligenza.

Che piacere vedere tanti esperti del retroscena, furbi che più furbi non si può, privi di argomenti, costretti a buttare nel cestino le loro elucubrazioni. Non hai idea di quanto ho goduto, in questi ultimi giorni, a leggermi le insinuazioni e le arrampicate sugli specchi del FattoQuotidiano; e con quanta impazienza attendo di leggere domani il Domenicale di Scalfari.

La lettera di 419 giorni fa finiva mettendoti in guardia contro i tanti nemici della leggerezza alla quale mi abbandonavo la sera di quell’8 dicembre. Oggi potrei dirti di non montarti la testa per il successo; non lo faccio perché lo sai benissimo da solo.

Una avvertenza, però. I tuoi nemici hanno preso un colpo; ma hanno imparato una cosa che prima non avevano chiara. Sanno, da oggi, di aver a che fare con uno che non ha solo volontà, coraggio e – perché no – fortuna; ma che ha anche molta intelligenza. Il che li renderà più guardinghi e più pericolosi.

Intanto oggi si conclude con un brindisi. Alziamo il calice: Viva l’Italia! Bravo!

 

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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