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Racconti

“Educazione sentimentale” durante il fascismo

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Sfoglio le pagine de ‘Il tallone di ferro’ di Jack London (1908) che ricevetti in dono da mio padre Antonello quando avevo quasi diciassette anni con una dedica che ho custodito preziosamente tra i miei libri e nel fondo della coscienza.
Il libro (‘The Iron Heel’) è un ‘romanzo socialista’ che descrive l’ascesa di un’oligarchia economico-politica negli Stati Uniti in uno scontro impari tra proletariato urbano e borghesia, al tempo della ‘Comune’ di Chicago; la forma è di un manoscritto ritrovato dopo tanti anni, al termine di una dura lotta sociale in cui, alla fine, il ‘tallone di ferro’ era stato sconfitto…
Nella dedica, mio padre mi iniziava alla ‘morale socialista’ che ho seguito nel corso della mia vita secondo quanto sono stato capace di fare. A rileggerla oggi, ancora mi commuovo, pensando alle piccole grandi cose che un genitore può imprimere nell’animo di un ragazzo.
Non senza rilevare però, a distanza di mezzo secolo, quanto la sua informazione avrebbe potuto essere involontariamente fuorviante. Egli asseriva infatti – né io avevo modo di obiettare – che al tempo del fascismo chi veniva trovato in possesso del libro di London rischiava la galera, deducendone tutta una serie di motivazioni morali implicanti il giudizio sul passato e la condotta per il futuro.
Oggi però, Ebay alla mano, e con l’esperienza aggiunta, noto che ‘Il tallone di ferro’ ebbe più di una edizione in Italia, durante il fascismo (dal 1928 al 1930) e a quanto mi risulta non vi fu mai una censura né una repressione nei confronti di chi lo diffuse per la lettura…
Mio padre dunque ‘mentiva’…? Non credo affatto. Era semplicemente trascinato dal suo acceso ‘antifascismo’ che lo portava a chiudere gli occhi sulla verità dei fatti storici accaduti i quali, nel bene e nel male, avevano luci ed ombre ben più complicate di una semplice discriminazione tra ‘giusto’ e ‘ingiusto’ nella causa della emancipazione sociale del lavoro moderno.
Vorrei segnalarlo non tanto per ‘spirito revisionista’ sul fascismo e dintorni: ma per far capire come una ‘educazione sentimentale’, per quanto motivata dalle più oneste intenzioni, possa diventare nei più teneri e inconsapevoli virgulti, una motivazione fuorviata e fuorviante…
Ecco la dedica, sentita e commossa, di mio padre Antonello: “…Caro Duccio, ti prego di leggere questo libro. Ai tempi in cui avevo la tua età e già sognavo la lotta contro i prepotenti, i padroni e gli sfruttatori degli operai, esso era considerato un libro sovversivo. E se la polizia te lo trovava, andavi dentro. Oggi si può leggere liberamente, perché qualcuno ha combattuto perché ciò fosse possibile. Ma non basta. Papà. Roma, 22.01.1962”

antonello

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DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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