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Racconti

Fine pena: mai

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Riordinò l’armadietto dei medicinali senza pensare, col pilota automatico innestato.
Seguiva una logica personale e cocciuta. Nessun altro avrebbe adottato i suoi criteri, ma aggiravano i buchi di una memoria lisa. Antibiotici insieme al cortisone. Via i cerotti, ma chi li ha lasciati lì? C’era tutto. Meno la pozione che le sarebbe servita.
Anni prima, parlando con marito e figli, avevano piantato paletti invalicabili. A modo loro, come parlando d’altro, come in una chiacchiera da bar.
«Hai ragione, papà. Ma non puoi chiedercelo» era stata la risposta unanime che i figli, e lei con loro, avevano dato a Giacomo, suo marito. Una risposta imbarazzata, lenta, ma chiara, a un padre che chiedeva di essere soppresso se fosse stato messo in scacco da una malattia invalidante. Quella volta non rivoltarono, come al solito, la conversazione in caciara e battutine. Per qualche ragione avvertirono che l’attimo andava incorniciato e iscritto nell’album di famiglia. Tientelo per detto, papà.
Il cassonetto in cui Giacomo voleva essere buttato sarebbe rimasto vuoto. Poi il tempo aveva ricominciato a correre sui binari della normalità. «Allora, avete visto il goal di Totti?».

L’attualità vedeva un imprevisto cambio di soggetto, il cassonetto si spalancava per lei.
Ricordò Lucio Magri, che era andato a farsi suicidare in Svizzera. Un bel posticino, per carità. Ma lei non avrebbe voluto allontanarsi dalla tana, neanche per andare a perdersi nell’amato imbrunire egeo, in quel brivido di luce color indaco, incapace di cedere alla notte. Lei avrebbe voluto restare a casa sua, con i suoi amori intorno e il gatto Lagna sullo stomaco. Una cosa tipo: «Passami il bicchiere. Non il prosecco, amore, quello!
Rapido, su! Un bacetto a mamma e fammi un sorriso!»
E poi, puff!
Non voleva finire perduta nel corpo, la mente disciolta nella vita ottusa delle cellule, non voleva aspettare che si spegnessero una a una, sapendo che intorno a lei tutti provavano vergogna e amore nel desiderare la sua resa. Né aveva parole fondamentali da lasciare ai posteri, i giochi di una vita erano fatti.
Ma se lo erano detti. Non puoi chiedercelo. Li amava davvero troppo per costringerli a scegliere e a odiarsi. Valutò i costi del viaggio e gli onorari della Casa della Dolce Morte, persa fra le montagne svizzere. Sarebbero stati più utili agli studi di Antonia e Giulio, si disse, lasciandosi scivolare in basso nella scala delle priorità.
Gran tipo, Terzani: ma, da maschio, lui saliva in giostra. Noi femmine mettiamo i pupi sui cavallucci…
Le boccette, ordinate come soldatini, le parvero sinistre. Le scaraventò in terra con un unico, preciso colpo di palmo.

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