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Il Ciclista (Via della Magliana)

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L'auto bruciata di Sara

Il ciclista fischietta e poi canta: “a quell’amor ch’è palpito, dell’universo intero, misterioso, altero, croce e delizia al cor”. Il sole sta ancora chiedendo permesso tra i palazzi e le milioni di auto posteggiate su via della Magliana. Un raggio lo colpisce alla schiena. Oggi sarà una giornata calda. Il ciclista andrà al mare. A sessantasei anni, ogni domenica percorre almeno settanta chilometri prima del pranzo con la figlia e i nipoti. “Pura siccome un angelo iddio mi diè una figlia.”

Il ciclista si chiama Giorgio, come il padre di Alfredo. Mentre canticchia, nota sul ciglio della strada una macchina carbonizzata. Ne ha viste molte da quelle parti. Alle idrovore della Magliana, sotto Ponte Marconi, all’altezza dell’ex cinodromo, dove ora sorge Roma 3, sulla via del Mare. Automobili date alle fiamme perché utilizzate per una rapina, a causa di un incidente, per vendetta o semplicemente per noia. In questa strana periferia che si atteggia a ville lumière, con ristoranti, locali trendy, lounge bar, outlet e centri commerciali; tuttavia, appena ci si allontana dalla strada, si possono sentire gli odori millenari “lungo il precipizio/ che barbaro il Tevere apre tra dormitori/sordidi”.

Il ciclista non ha letto Pasolini, ma è vecchio e se la ricorda quella Roma di oltre mezzo secolo fa dove le borgate erano il mondo e la vita dei ragazzi quasi non si sentiva. “È un brusio la vita, e questi persi in essa, la perdono serenamente”. Ma, si diceva, il ciclista non ha letto Pasolini e, pure se di auto bruciate ne ha viste tante, stavolta si ferma. Ci deve essere qualcosa che non va. L’auto bruciata è qui, davanti a lui, ma le pantere della Polizia sono in fondo alla strada, almeno duecento metri più giù. Tante auto, tante persone. La strada è inaccessibile. È successo qualcosa di grave, molto grave, pensa. Poi, chissà perché, fa una foto alla carcassa e riprende la sua pedalata.

Seduto su una panchina di piazza Anco Marzio, sul lungomare di Ostia, il ciclista legge due fogli di carta. Sul primo ha trascritto la frase di un tema che la figlia Roberta compose in terza elementare: «Il papà è buono». Non bello e alto come scrivono quasi tutti i bambini (per dovere di cronaca, il ciclista non è mai stato né bello, né alto). «Non mi ha mai picchiato, né sgridato. Quando deve rimproverarmi, mi abbraccia, mi bacia e mi dice, senza urlare, cosa ho sbagliato, cosa non devo fare».

Il ciclista crede che tutti i genitori e i nonni dovrebbero, almeno una volta, scrivere un tema sui loro figli e nipoti. Sull’altro foglio è il suo tema per Roberta. Non sa proprio se avrà il coraggio di darglielo. Lo rilegge: «Mia figlia è una donna forte. Quando è morta sua mamma, lei aveva soltanto 17 anni, mi ha abbracciato e mi ha detto: Povero papo, ora come farai senza di lei. In meno di un secondo è diventata donna.

Una donna forte. Mia figlia sa dire sì. Il sì più dolce e tenero che abbia mai sentito. Mia figlia sa dire no. Il no più determinato e irremovibile che abbia mai sentito. Mia figlia ha detto sì a suo marito. Il padre dei miei nipoti. Poi mia figlia gli ha detto no. Ora cresce i figli da sola. Non ha bisogno di nessuno e le auguro con tutto me stesso che non abbia mai bisogno di nessuno, perché nessuno, e, forse, nemmeno io che sono il padre, potrà aiutarla».

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