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Società

Il compagno Alvaro e le buche di Roma

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Alvaro Marchini

Mi diceva tanti anni fa Alvaro Marchini, il potente costruttore comunista che fu anche presidente della Roma, di essere veramente amareggiato per come il PCI non sapeva affrontare seriamente il problema della manutenzione stradale nonché dei lavori pubblici nella Capitale.
Era la fine degli anni ’70, il PCI amministrava Roma da qualche anno con grande consenso, prima Argan, poi Petroselli. Alvaro però storceva il naso:”danno piccoli appalti a cooperative improvvisate, sono quasi tutti dei principianti, non c’è direzione centrale coerente, tutto avviene a casaccio e senza la dovuta premura…”.
Lo guardavo meravigliato, mentre esponeva il suo punto di vista di costruttore: “…bisogna fare accordi centrali con le grandi imprese – diceva Marchini – Quelle che hanno capitali e tecnologie migliori, e garantiscono fino in fondo la riuscita del lavoro. Viceversa, se ti affidi alla imperfetta di turno, che mette insieme il pranzo con la cena, difficilmente il lavoro sarà fatto bene…”. Mi sembrava convincente il suo ragionamento, un po’ da ‘padrone del vapore’ quale lui era, ma persuasivo.
Domandai se avesse esposto ai vertici di governo del PCI di Roma questo suo punto di vista. Mi rispose di si, e che lo avevano subito accantonato in nome della ‘partecipazione democratica’ per dare lavoro alle ‘piccole imprese’. Gli appalti così concepiti, e i subappalti di conseguenza, rispose Marchini, producono sempre lavori mal controllati, mal riusciti, e alla fine persino più costosi.
I lavori sono aggiudicati per poco, ma poi i costi lievitano in corso d’opera. “Meglio, molto meglio, trovare un accordo di progetto su larga scala con una grande impresa di costruzioni. Il costo sarà maggiore, ma solo sulla carta. Perché il lavoro sarà ben fatto, e non ci saranno furbetti che alzano il prezzo”.
Così mi diceva Alvaro, che aveva con suo fratello Alfio fatto il partigiano durante la Resistenza, aveva donato al PCI la sede di Via delle Botteghe Oscure; era un comunista-capitalista che per il PCI avrebbe dato due volte la vita. Non gli piaceva l’andazzo ‘cooperativo’ che nella Roma ‘de sinistra’ si andava profilando.
Chi sa cosa avrebbe detto oggi, dopo ‘Mafia Capitale’ e le ‘buche’ della Raggi.

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DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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