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Storia

Il fascino celibe di Natalia Paley

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Leggendo la vita di Jean Cocteau mi imbatto nelle grazie irripetibili di Natalia Paley (1905-1981) la nobildonna russa che lo fece innamorare di sé nel tempo in cui partecipò alla prima visione di. ‘Le sang d’un poète’ in casa De Noailles.

Naturalmente fu un amore celibe, come celibi, o quasi, furono i diversi incontri che la fascinosa Natalie ebbe nella sua vita (un marito omosessuale, lo stilista Lucien Lelong, Charles Boyer, Antoine de Saint Exupery, e per ultimo il produttore americano John Chapman Wilson, anch’ egli risolutamente omosessuale, che era stato amante di Cole Porter) come contraccolpo piscologico delle violenze subite al tempo della rivoluzione bolscevica.

Era figlia del Granduca Paolo Alexandrovich della Russia e di Olga Karnovitch Hohenfelsen, divenuta contessa e principessa Paley, e imparentata con lo zar Nicola II. Suo padre e suo fratello, tratti agli arresti, vennero messi a morte. Natalie, sua sorella e sua madre ripararono in Finlandia e poi a Parigi, dove la loro vita di emigrati di lusso si divise tra Boulogne e il mare di Biarritz.

Andata in sposa allo stilista Lucien Lelong, il volto diafano della principessa Paley e il suo fisico leggero dai tratti androgini apparvero ben presto sulle copertine di Vogue, facendola diventare la Regina della Cafè society durante gli ‘anni folli’. Fu allora che incontrò Cocteau, e in seguito Luchino Visconti che la incitò al ruolo di attrice cinematografica.

Tra il 1933 e il 1936, la principessa recitò in diversi film per la regia di Marcel l’Herbier, Goerge Cukor, Alexander Korda e Marcel Achard. Negli Usa, divenuta amica di Katharine Hepburn, Natalie incontrò il suo ultimo marito, il produttore John Chapman Wilson, e da quel momento abbandonò il cinema per tornare a curare pubbliche relazioni nel mondo della moda.

Dopo la morte del marito, nel 1961, per Natalia Pavlovna fu tutto un lento declinare, accompagnato dalla accentutata propensione al bere che la ridusse all’alcolismo. Viveva isolata dal mondo, fino a quando una malattia non la ridusse quasi alla cecità. Nel dicembre del 1981, ebbe una caduta in casa. Fu operata per frattura del femore. Non resse ai postumi della operazione e morì a New York il 27 dicembre 1981.

DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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