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Storia

Il massacro della Cap Arcona

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Cap Arcona in una foto del 1927

Era uno dei più bei piroscafi dell’epoca, roba di lusso. Poi scoppiò la guerra, servì per trasporto profughi e da nave ospedale. Ma di vernice bianca ce n’era poca, e così solo i fumaioli divennero le insegne di non belligeranza. Poco visibili dal cielo. Alla fine dell’aprile 1945 l’esercito tedesco era in rotta. Le SS requisirono la nave. Belve ferite a morte ancora capaci di azzannare, ammassarono nella baia di Lubecca migliaia di detenuti portati via dai campi di sterminio. Venivano da Neuengamme, Fürstengrube e anche da più lontano. Furono stipati come bestie da macello sulla Cap Arcona, le stive chiuse, probabilmente la nave fu minata per affondarla. Non fu necessario. Dopo cinque giorni, il 3 maggio del 1945, gli aerei della RAF colpirono la Cap Arcona con missili incendiari e bombe da 500 libre. I piloti non erano stati informati, e scambiarono i prigionieri per soldati e gerarchi nazisti in fuga. La Croce Rossa sostenne di aver avvisato gli alleati. Il dossier su quel bombardamento è stato secretato per cento anni. La baia si trasformò in un inferno di fiamme e detriti. Qualche centinaio di prigionieri si lanciò dalle murate, altre più di venti metri, nel gelido mare di Lubecca. Dai pescherecci e da una torpediniera i tedeschi spazzavano le acque con le mitragliatrici, verso qualunque cosa somigliasse a un’uniforme a righe. A riva le SS attendevano i prigionieri scampati, mitragliavano le onde che frangevano sulla battigia. Qualcuno riuscì a sopravvivere aggrappato ai rottami fino a notte, trovando alla fine salvezza e rifugio presso qualche civile che in tutto quell’orrore era riuscito a rimanere umano. Il giorno dopo l’Armata Tedesca del Nord si arrendeva senza condizioni al generale Montgomery.

Nella baia di Lubecca rimanevano migliaia di cadaveri, forse ottomila o più, in quello che fu uno dei peggiori disastri navali della Storia, il più assurdo di tutti. Tra trent’anni, forse, sapremo la verità.

 

 

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Paolo Messina

Nasce nel 1960 a Porto d’Ischia in una sera d’aprile. Nel ‘66 la famiglia si trasferisce a Roma. Studia fino alla maturità scientifica, in uno dei più turbolenti licei della capitale negli anni compresi tra il golpe in Cile e il rapimento Moro. Qua conosce la sua compagna di banco e di avventura, Laura. Nel 1980 già lavorano entrambi, ma si accorgono che c’è solo un’estate a vent'anni, perciò comprano una moto, si licenziano e partono in un viaggio che finisce quando finiscono i soldi, tenuti nascosti in un rotolo di carta igienica. Nel 1981 grazie a un concorso fatto ai tempi del liceo Paolo ottiene un impiego presso una grande azienda di servizi a capitale statale. Comprano una piccola casa a Roma, zona Magliana, quella della banda, contando di poter tornare a Ischia appena possibile ma non è possibile. Nel 1991 mantiene la promessa di trasferirsi al mare e va in Maremma. Qui, quando non sopporta più di essere un triste impiegato in un triste ufficio di una triste azienda si licenzia. Ora è titolare di una piccola ma prestigiosa azienda nel settore enogastronomico di qualità tipica e biologica. Da quasi quarant’anni non è sposato con Laura. Paolo Messina ha scritto due raccolte di racconti, stampate in proprio da PC in poche decine di copie, e la raccolta “Interferenze Indiscrete”, tramite il sito “Il miolibro” de La Feltrinelli. ha pubblicato nel 2007 per Il Filo editore la raccolta di poesie “Baci di Arcobaleni Sbiechi”. Del 2011 pubblica su La Rivista Intelligente, di cui dal 2012 è collaboratore stabile.”

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