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Libri

Il salone del libro, Torino

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Come è bello qui il metrò. L’altoparlante dà l’andantino della Fantasia in do minore di Mozart, e io mi sento una piccola Zazie. Il treno è automatico e viaggia veloce. Non c’è un tranviere e, con le mani appoggiate sul vetro, ho la sensazione che ci schianteremo da un momento all’altro.
Scendo a Lingotto e all’ingresso non c’è fila. La struttura è enorme, sul tetto c’era la pista di collaudo delle autovetture Fiat. Il padiglione 1 è l’angolo degli editori indipendenti e vanta ventitré nuove imprese, malgrado i tempi che corrono, perché l’editoria è il terreno degli audaci. Qui ho visto agenti letterari agitare l’indice contro poveri editori debuttanti, perché avevano rifiutato di pubblicare libri che non fanno né ridere né piangere, ma che, in fondo, non presentano molti refusi.
Girare tra il padiglione 2 e il padiglione 3 può essere pericoloso, appena ci si distrae un momento si rischia di essere travolti da uno scrittore inopportuno che corre avanti e indietro, da stand a stand, distribuendo ai poveri librai la copia stampata del proprio romanzo di fantascienza. C’è poi lo scrittore oculato che gira con un dossier pieno di nomi e foto, ha pianificato un appuntamento ogni quarto d’ora e passa da una presentazione all’altra, indugia davanti allo spazio Masterpiece e partecipa persino a una lezione della Scuola Holden, dove il maestro sta distribuendo pomodori pachino, che, dice, “rappresentano l’anima della scrittura”.
Fuori dal Salone, Torino è così poco frenetica e si attraversa con semplicità. Le vie formano un reticolo ordinato e basta controllare se a destra c’è la montagna oppure la collina, per ritrovare l’orientamento. Al Gran Balon, il mercatino dell’antiquariato, compro a un euro l’uno alcuni libriccini ingialliti. La primavera è esuberante, il polline dei tigli e dei pioppi unisce i passanti in un grande starnuto collettivo. Il vento è così violento che dai tavoli delle trattorie volano bicchieri di vetro come fossero di carta. Piazza Castello è bella di notte. Il duomo è piccolo e timido e nessuno mai direbbe che dentro è nascosta la Sindone. Stormi di scrittori ubriachi camminano sul lungo fiume, una nutria fa capolino. Sorseggio una birra al chiosco del Valentino, sotto un castagno si è radunato un gruppetto e c’è chi suona la chitarra, chi invece il tamburello. Il vero evento, che tutti aspettiamo, è la festa di Minimum fax di sabato sera! Persino qui, nella villa bianca sul Po, due o tre scrittori son venuti con stampe al seguito. C’è un editor nascosto sotto la consolle, uno che inciampa nella fuga, gli altri ballano, sudati e paghi.

ANNA GIURICKOVIC DATO

Anna Giurickovic, nel 2014 si è laureata in Giurisprudenza, nel 2016 ha conseguito un Master e oggi è assegnista di un dottorato di ricerca in diritto pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma. Oltre a impegnarsi nel diritto, è anche una scrittrice appassionata.Nel 2012 un suo racconto si è aggiudicato il primo posto al concorso “Io, Massenzio” al Festival Internazionale delle Letterature di Roma. Nel 2013 è stata finalista al “Premio Chiara Giovani”. “La figlia femmina” (Fazi, 2017) è il suo primo romanzo.

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