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Racconti

Il Teorema di Pasolini

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Il 2 novembre (el dì di mort) del 1975 era domenica. Ero condirettore dell’Unità da pochissimi mesi. Di domenica la tipografia di Roma era chiusa, e il giornale del lunedì si stampava solo a Milano; la fattura del giornale gravava in gran parte sulla redazione milanese e su me che ne ero il responsabile. Mentre ero ancora a letto, mi arrivò una telefonata: mi avvertivano che Pasolini era stato ammazzato nella notte appena trascorsa, dove e come era accaduto. Provai una fortissima emozione; conoscevo Pasolini, avevo parlato e discusso con lui più volte. L’impulso a scrivere fu immediato; volevo fissare quanto mi passava per la testa in quel momento. Solo in un secondo tempo pensai che avrebbe potuto essere un commento da pubblicare. Inviai il testo al direttore Luca Pavolini. Non lo accolse; le nostre sensibilità, soprattutto su eventi del genere, erano molto lontane. Scrisse lui una nota per sostenere – più o meno – la tesi dell’omicidio politico; compare sulla prima pagina dell’Unità del giorno dopo. Il mio testo lo pubblico oggi. Sono trascorsi quaranta anni; tutto considerato lo condivido ancora. Uso lo stesso titolo che pensai allora: “Il Teorema di Pasolini”

 

 

 

Ti sembra di sentirlo che dice “come volevasi dimostrare”; la clausola risolutiva e indiscutibile di un teorema. L’ansia di arrivare alla dimostrazione del teorema si era fatta negli ultimi tempi più acuta e incalzante; quasi non ci fosse tempo. Ma quale tempo, il tempo di chi? Il tempo di Pasolini, ti dici; era da se stesso che voleva mettersi in guardia, dal punto di arrivo che la passione incontrastabile e la ragione vincolante delineavano come necessario, inevitabile. Ma, come volevasi dimostrare, Pasolini non l’ha detto per sé; l’ha detto per te, per tutti quanti gli hanno ripetuto che il teorema era male impostato, sbagliato nelle premesse; che – quanto meno – doveva essere tradotto in simboli diversi e collocato in un diverso sistema concettuale.

 

Ecco, adesso facci i conti, prova un po’ a tradurlo tu questo teorema! In modo che risulti più convincente e obbligatorio di quanto sia stato capace di far lui. Prova un po’ tu a parlare, adesso, a rompere o a scalfire il suo silenzio. Ti ribelli; è una violenza totale, assoluta la sua; una conclusione del teorema arrogante, presuntuosa, tratta in modo da non consentire repliche e vie di uscita.

 

La religione, la religiosità di Pasolini! Così, con la stessa volontà di affermazione, deve essersi fatto ammazzare Cristo: mi ammazzi e mentre lo fai mi dai irrevocabilmente ragione, e la mia ragione non dominerà su di te fin quando non mi avrai ammazzato.

 

Parliamo dell’amore: qui per nessun altro c’è amore, se non per sé. Parlava bene dei giovani comunisti, diceva che in loro vedeva valori e idee positive. Ma li amava? No. Amava gli altri, quelli delle borgate di vent’anni fa; e amava i criminaloidi di oggi. Perché criminaloidi? Perché – rispondi – non gli consentivano più l’amore: cambiati loro, forse cambiato anche lui. Certo si era inceppato il suo meccanismo – quanto hegeliano! quanto cristiano! quanto maschile! – dell’amore. Basta un altro da te per negarti in lui, e per recuperare da questa negazione la universalità di te: amare un altro per poter amare finalmente un te ideale, un te eterno. E l’altro deve essere il più lontano, il più diverso da te, perché la tua negazione, perché il tuo recupero ideale siano totali e perfetti, esaltanti.

 

Il divino si incarna nell’umano, e nell’umano più carnale, più istintivo, meno coltivato, perché così può essere pienamente divino ed assurgere alla sua compiuta perfezione quando l’umano si rivolta e lo uccide, e così lo libera.

 

Una donna lo ha detto, subito, saputa la morte: guarda non è morto come Rosaria Lopez (1), è un’altra cosa, lui era un maschio. La violenza: Giuseppe Pelosi gli ha spaccato la testa e ha infierito. Ma Giuseppe Pelosi (2) era un fattore, una variabile del teorema; la sua violenza manuale, volgare è il dato empirico, che negato e trasceso ha consentito finalmente alla violenza della ragione, la violenza di Pasolini, di trionfare con tutto il suo potere coercitivo.

 

Davanti alle ceneri di Pasolini, ti viene di dire come disse lui davanti alle Ceneri di Gramsci: ti capisco ma io vengo da un altro mondo. Non era vero, non è del tutto vero, quando lo dici tu. La tua rabbia si infrange; il teorema, tuo malgrado, è dimostrato. E ti riguarda e ti coinvolge non solo perché è affermato con la presunzione della universalità; ma, ben di più, perché ti investe e ti scuote direttamente.

 

La scienza e la rivoluzione della società non sono tutto; non comprendono necessariamente la conoscenza, la ricomposizione, la rivoluzione dell’uomo. Nello spazio buio che c’è ancora fra la liberazione sociale e la liberazione individuale, Pasolini ha lavorato con testarda continuità, ha costruito e dimostrato il suo teorema.

 

Se vuoi cercare una soluzione diversa da quella dettata dal suo arrogante orgoglio individuale, devi, con tenace modestia, con tanti altri, esplorare, lavorare, per ridurre quel grande spazio

 

(1) Rosaria Lopez fu uccisa nel massacro del Circeo il 29 settembre di quello stesso anno, 1975

(2) Pino Pelosi fu subito indicato come l’autore materiale della uccisione di Pasolini

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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