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Invenzione di Santo Stefano

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Vittore Carpacci, Lapidazione di Santo Stefano, 1520

Vittore Carpacci, Lapidazione di Santo Stefano, 1520

Stefano è il “coronato”, il suo destino è scritto nel nome, nell’aureola che ne isola il profilo mentre attende il martirio. Nella Gerusalemme eternamente ferita da faide antiche e nuove divisioni il primo dei martiri è condotto davanti al Sinedrio, professa il suo Credo senza incertezze. Non c’è processo, non c’è sentenza. C’è il tumulto della folla inferocita che trascina il giovane per le strade, tra le colonne troppo esili delle miniature sui codici, negli slarghi tra le case simili a scatole bucate nelle predelle d’altare, lungo le mura da cui emergono i tetti dei templi e le cupole dei pantheon negli affreschi rinascimentali.

Nella tela di Vittore Carpaccio la lapidazione ha luogo ai margini della città. Gerusalemme sullo sfondo è una selva di campanili avvolti nelle brume. È come una Venezia lontana, sognata durante la tempesta di un viaggio per mare. Le onde si pietrificano in dirupi e in erte scoscese, che sospingono il martire sul ciglio di un burrone.

I carnefici hanno turbanti da infedeli. Chi è intento a raccogliere la pietra, chi è colto nell’atto di scagliarla, chi si arresta seguendo con lo sguardo la traiettoria del lancio. Una pietra è sospesa a mezz’aria, un’altra colpisce il capo del martire, che indossa la veste rossa del diacono.

Tante pietre, tante quante sono i resti che di quel corpo martoriato si spargeranno per il mondo, dopo che un vecchio santo armato di bacchetta d’oro apparirà in sogno a un monaco di nome Luciano e indicherà il luogo dove Stefano è sepolto.

Le chiese celebreranno il giorno del disseppellimento, come la festa dell’invenzione, ossia del rinvenimento. Ma il 3 agosto del 415 sarà soprattutto la festa di un’invenzione vera e propria, quella di un corpo che non smette di moltiplicarsi: a Gerusalemme, a Roma, a Venezia; un corpo che non smette di rifiorire in braccia, gambe e teste.

Da Costantinopoli a Ravenna, da Napoli a Besançon, da Ancona a Minorca, le innumerevoli reliquie sono come i lacerti smembrati degli antichi sovrani disseminati nei campi per propiziare le messi. Esse disegnano una geografia di fede antica e nuova per questo santo, celebrato come protomartire e primo tra i Comites Christi subito dopo il Natale, giorno festivo solo dal 1949.

 

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SALVATORE RONGA

Nacque a bordo di un’isola nel golfo di Napoli, Ischia. Sbarcò raramente, così da poter attribuire al rollio ogni tormento esistenziale. Sperimentò varie forme di gastrite. Perse i capelli, ma non perse tempo a raccoglierli. Amò più di quanto i suoi amici sospettassero e odiò molto meno di quanto i suoi nemici avessero creduto. Venne alla luce il 13 luglio 1969 e da allora non fa che scrivere e riscrivere il suo epitaffio.

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