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Racconti

Io e i musici

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Ordinati, composti, anziani, seduti vicinissimi, si proteggono dal sole romano con un ombrellino blu. Lui canta, intonatissimo ma con un filo di voce, aiutandosi con un tremendo impianto amplificato, vecchie canzoni: anni ’50, anni ’60. Lei gli sta accanto, distinta e ben pettinata. Si amano, lo si capisce al primo sguardo. Sento rumore, bum bum, risonante, fastidioso per la mia lesione, quindi infilo, rapida, i tappi di silicone, fatti su misura per me, nelle orecchie, mentre mi avvicino al solito supermarket, borbottando per distrarmi: prosciutto cotto, insalata, pane scuro, ciliegie. Poi, però, nonostante la barriera che ho posto contro il canuto cantante e il suo macchinario, mi arriva un messaggio inconfondibile, che si leva dai più teneri abissi della mia infanzia. “Carissimo Pinocchio”. E mi trafigge a fondo: sì, la canzone che Johnny Dorelli cantava nel 1959. La bimba che mi abita conosce tutte le parole a memoria, e non se ne vergogna:

Carissimo Pinocchio ricordi quand’ero bambina?       Nel bianco mio lettino       ti guardai, ti sfogliai, ti sognai.

Mi fermo, immobile, davanti ai musici, mi tolgo i tappi e incomincio a cantare, con lui, piano piano. Tutti e due alzano gli occhi, stupiti, verso di me, che sono altrettanto stupita di quanto sto combinando. Mi sorridono. Dagli occhi mi stanno sgorgando inattese, copiosissime lacrime, di gioia, dolore, amore, non so. Da quanti anni non la cantavo, non la sentivo, questa dolce, patetica, stupidina canzone? Penso alla tata Zaira, detta la Ia, unica consolazione di epoche buie. La sua faccia buffa, l’accento padovano – anche i piedi piatti. Solitudine e speranza, abbandono e qualche coccola. Mi rivedo nel “bianco mio lettino”.

Resti ancor    nel mio cuor     come allor

Lacrime così luminose non ne ho mai piante in tutta la vita. Lascio nel cestello rosa tutte le monete da uno e due euro che ho nel borsellino. I sorrisi dei musici si allargano, gli sguardi si accendono. Mi allontano, rinuncio a entrare nel super a fare la spesa, perché le cassiere mi conoscono e magari penserebbero che sono impazzita. Mi rimetto i tappi, e proseguo a camminare lungo la via Cola di Rienzo, tra bancarelle, coppiette e famigliole col passeggino, fra invalidi in carrozzella con badante, e ragazzi di ogni colore e etnia, piangendo – e ridendo di me – e continuando a cantare, incurante del ridicolo, la guance bagnate. Arrivano anche i singhiozzi, la gente mi guarda. Non sono mai stata così felice.
Ho solo una domanda: è mai capitato anche a voi che mi leggete?

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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