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La compagna Larissa e l’internazionalismo proletario.

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Larissa ha sessantatre anni, 42 dei quali passati in Unione Sovietica, in Ucraina prima e in Moldavia poi. A questo punto si potrebbe pensare che sia stata una vera comunista o che sia oggi una ex comunista, con rigida educazione comunista.
Invece le cose sono molto più complicate. Larissa è prima di tutto figlia della sua terra, nel senso di cultura, lingua e tradizioni. E pregiudizi.
Si occupa con amore di un vecchietto ridotto a un vegetale in un letto, mio padre. Lo fa con assoluta dedizione: lei gli parla ininterrottamente, lo prende in giro, lo aggiorna sul clima, gli siringa dei papponi inverecondi in un tubo direttamente collegato allo stomaco, lo lava e gli cambia il letto. Mette la musica e facendogli un po’ di fisioterapia immagina di ballare. Tutto ciò è frutto del suo mondo rispettoso verso gli anziani e contemporaneamente è il suo investimento sul futuro: è il suo ultimo lavoro infatti, al termine del quale tornerà in Moldavia.
Racconta del suo passato e si intuisce una vita di grandi fatiche, la fatica è il comune denominatore della vita di queste donne. La fatica di studiare in case di campagna fredde, povere, con i pavimenti di terra pressata, grate allo stato che ti permette di laurearti. La fatica di essere accettate da madri più dure di loro, la fatica di sposare uomini grandi e forti fuori ma di sabbia dentro, ubriaconi infelici. La fatica di divorziare e di farcela da sole. La fatica di crescere figli col sogno dell’occidente e nessun valore del glorioso passato del loro paese. La fatica di sopravvivere a sistemi sanitari medievali dove si partoriva abbandonate come le cagne nel fienile, alla corruzione, alla ingiustizia e infine alla presa in giro: in una sola notte la Moldavia si è ritrovata repubblica indipendente sdoganata dalla Unione Sovietica e i risparmi di una vita quella mattina valevano meno delle foglie di lattuga dell’orto, improvvisamente divenute oro.
La corruzione è un concetto totalmente naturale per lei, non concepisce un mondo dove non ci si rivolga all’autorità senza una offerta in mano, non si rivendica un diritto senza operare uno scambio. Se le dico che uno dei miei figli non ha passato un esame universitario, lei mi dice subito di  portare qualcosa di bello al docente. Se chiede qualcosa al portiere dello stabile offre una bottiglia, anche se si tratta di un suo diritto avere aiuto.
Stava in Ucraina l’anno del disastro a Chernobyl e ne ha un ricordo preciso: nei mesi successivi gli orti produssero ortaggi mostruosi, patate come angurie, zucchine e cavoli come mongolfiere. Tutto da buttare. Nei giorni immediatamente successivi al disastro il governo reclutava volontari e prometteva soldi. In più si consegnavano bottiglie di vino agli uomini in partenza dicendo loro che il vino era contro le radiazioni, e quei poveracci per due rubli e una bevuta andavano incontro alla morte. Larissa ha perso un giovane nipote in questo modo: leucemia fulminante.
Se le si dice  che è bravissima risponde che deve esserlo per guadagnarsi il paradiso, altrimenti finisce all’inferno e le tocca passare l’eternità con l’ex marito.
E innumerevoli sono i detti imparati dalla nonna, uno più divertente dell’altro. O quasi…
La lotta di classe non si è mai veramente conclusa e alla vista di belle signore eleganti per la città Larissa intuisce che non può che trattarsi di mogli di notabili. Lei, che ha un gran buon gusto innato, colloca l’eleganza solo nelle alte sfere della società. Ma davvero suggestiva è l’inconfondibile traccia lasciata dalla sua educazione socialista alla solidarietà. Alla vista dei rom mendicanti per le strade, stringe le labbra e sentenzia:
“La soluzione è facile. Si caricano su nave e si lasciano senza motore in largo, in mezzo mare”. Memorabile fu l’incontro tra lei e un tecnico rumeno chiamato per la riparazione della lavatrice: una sottile avversione si manifestò in dispetti reciproci, fino alla mossa finale di Larissa, che ha sottratto indebitamente un certo gancetto dichiarato non in vendita dal rumeno.
Così come il concetto di ebreo non è da meno:
“Io diviso casa con studentesse ebree – ricorda – molta sporcizia, mai lavare”.
Quando piove a dirotto cita uno dei detti più caustici della nonna: piove, un ebreo si è suicidato. Al mio stupore venato di repulsione sorride: “Chissà perchè, chissà cosa voleva dire la nonna!”
Tuttavia il suo cuore si è acceso, il sorriso si è aperto, gli occhi hanno brillato quando le ho detto che presto sarei andata a San Pietroburgo. Ahh, ma quale comunismo, ma quale lotta di classe! Stiamo parlando della città dello Zar di tutte le Russie!
“OOhhhh, ma allora ci vogliono dei bei vestiti!! A San Pietroburgo bisogna essere eleganti”
E’ così, ha ragione lei: nella città di Pietro il Grande non si può arrivare malvestiti.
Non vorrete mica presentarvi nella residenza dello Zar come straccioni vero? Che diamine, un po’ di rispetto siamo di fronte alla storia!

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ANDREINA SWICH

-Una Donna Turchese di A.Swich - 2009, Dalai editore-

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