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Pensieri Letterari

La lingua definitiva

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Agota Kristof

Era ungherese, Agota Kristof, esule in Svizzera a ventun anni dopo l’invasione sovietica del suo paese. Giovanissima, fu catapultata in un mondo estraneo e in una lingua che non conosceva. Qualcosa aveva imparato a fatica lavorando in fabbrica, poco, ché in fabbrica poco si parla, e soffriva terribilmente di non poter leggere.
«Sono analfabeta, non so né leggere né scrivere».
Ci mise anni, ma imparò. E decise che era in francese che doveva scrivere se voleva essere letta. Lo fece, e iniziò narrando dell’infanzia sua e del fratello, e poi trasfigurando e inventando e lasciandosi guidare dai personaggi raccontò di due gemelli, in prima persona plurale. Era ”Il grande quaderno”, quello che sarebbe diventato il primo libro della Trilogia della città di K.
L’ho letta per la prima volta anni fa, la Trilogia, e non posso dimenticare il momento in cui ho terminato l’ultima pagina, il vuoto che ho sentito: era un buco nero che avevo divorato e mi aveva divorato. Avevo la sensazione che niente sarebbe stato più lo stesso, che mi erano stati aperti orizzonti sconosciuti di buio e angoscia. Storie di verità e menzogne che si intersecano, di percezioni duali e uniche che si confondono e si scambiano; fatti, cose, invenzioni, che arrivano dritti allo stomaco in ondate di sentimenti contrastanti mai descritti ma più che mai presenti, e taglienti, e compresi fino in fondo, il tutto narrato con lucido distacco in una lingua antiemozionale, priva di aggettivi e contorsioni: la lingua definitiva.
In un’intervista concessa a un giornale ungherese dopo aver vinto nel 2011 il premio Kossuth (forse la sua ultima), aveva detto: «Non è possibile riuscire a esprimere esattamente ciò che intendiamo. Scrivere per me voleva dire anche cancellare tantissimo. Cancellavo in particolare gli aggettivi e le immagini che non appartenevano al mondo reale, concreto, ma che nascevano dalle emozioni. Ad esempio, una volta ho scritto “i suoi occhi scintillanti”. Poi mi sono detta: ma davvero scintillano? E ho cancellato l’aggettivo».
Ecco, questa è la sua scrittura, limpida e scarna e aguzza, e questo è il modo in cui da sempre vorrei scrivere.
Questo è il modo in cui mai riuscirò a scrivere.

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