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L’arbitro Mattarella senza fischietto

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Il Quirinale e il Palazzo della Consulta

Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del Capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, di garante della Costituzione. È un’immagine efficace: all’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere e sarà imparziale”. Perfetto! Sono parole pronunciate da Mattarella di fronte alle Camere in seduta comune il 3 febbraio 2015, all’atto del suo insediamento ufficiale come Capo dello Stato.
La imparzialità dipende esclusivamente dalla persona; per svolgere la funzione, però, un arbitro ha bisogno del fischietto. Toglieteglielo e il miglior arbitro non saprà come intervenire, come dar corso alle sue valutazioni, come comminare punizioni.
Ecco: Mattarella fino al prossimo 24 gennaio è un arbitro senza fischietto, o con un fischietto che non emette suono; il che è la stessa cosa. Sono 48 giorni; non pochi nella situazione in cui si trova oggi l’Italia. A rendere inutilizzabile il fischietto non sono stati tifosi facinorosi, ma i paludati inquilini del Palazzo che sta a fronte del Quirinale: i giudici della Corte costituzionale e, per loro, l’esimio e ineffabile Presidente Paolo Grossi.
La sera del 7 dicembre 2016 il Presidente del consiglio Matteo Renzi, a seguito dei risultati del referendum di tre giorni prima, si è dimesso; si è aperta, così, una delle crisi più complicate e difficili nella storia della Repubblica. L’arbitro Mattarella dovrà affrontarla senza fischietto: non disporrà, di fatto, del “potere di scioglimento”; non potrà, cioè, sciogliere le camere perché non è disponibile la legge elettorale che attende le decisioni della Consulta. Non potrà, quindi, ventilare questa eventualità di fronte agli ostacoli che si presenteranno nella ricerca di una maggioranza che sostenga un governo.
Quello dello scioglimento è il solo vero potere di cui disponga il Capo dello Stato in situazioni simili. Non a caso, molti Presidenti della Repubblica (ultimo Napolitano) si sono dimessi in anticipo per non dover gestire crisi di governo durante il “semestre bianco”, quando la Costituzione toglie appunto quel potere dalle mani dell’inquilino del Quirinale. Senza quel potere, il Presidente arbitro – come la Repubblica che rappresenta – è in balia delle bizze e dei veti dei giocatori.
Se l’arbitro non dispone del potere di sanzione, saranno evidentemente favoriti i giocatori più fallosi; e saranno sfavoriti gli altri. Fuor di metafora, nel corso di questa crisi saranno favoriti coloro che vogliono evitare le elezioni subito, per stiracchiare il più possibile la legislatura in corso.
I retroscena dei quotidiani insinuano che la “calendarizzazione” dell’udienza della Corte sarebbe stata fissata per rendere impossibile la sopravvivenza di un Renzi dimissionario per un periodo così lungo. Non so se sia vero; e non mi interessa. Non ha invece bisogno di retroscena, perché è palese, sotto gli occhi di tutti il fatto che la Corte, con la sua decisione, ha stabilito che fino al 24 gennaio il Presidente della Repubblica dovrà assumere le sue decisioni senza disporre, di fatto, del potere di scioglimento. In tal modo si alterano (si riducono) i poteri del Capo dello Stato proprio nel momento in cui deve poterli esercitare tutti, senza impedimenti di alcun genere.
Viene da domandarsi se non siamo di fronte a una seria, molto seria ferita alla Costituzione. In ogni caso, lo spirito di collaborazione istituzionale avrebbe dovuto suggerire alla Corte non di allungare ma di abbreviare il più possibile i tempi di una decisione già programmata per il 4 ottobre; quindi, con ogni probabilità, ampiamente delibata. E lo stesso spirito di collaborazione dovrebbe indurre oggi a correggere quella decisione e anticipare drasticamente la data del 24 gennaio.
Si offenderanno gli eccellenti Giudici e il loro eccellentissimo Presidente se dico di non credere che di tutto ciò non si sono resi conto? Preferirebbero essere considerati degli allegroni distratti e fuori dal mondo?

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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