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Argentana, Una città senza il tiro

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Una città senza il tiro

In quattro decenni di vita ho abitato in cinque città diverse, distribuite su tre stati e due continenti. Ma resto costituzionalmente, ontologicamente, cosmogonicamente bolognese. E per noi bolognesi ci sono due parole che esprimono altrettanti concetti fondanti. Di più: sono universi semantici, costellazioni di senso, Weltanschauung. Le parole sono “tiro” e “rusco”, traducibili con “apriporta elettrico” e “immondizia”. Espressioni come “Ho dimenticato le chiavi, dammi il tiro” o “Già che scendi, porta giù la sportina del rusco” consentono l’immediata identificazione del bolognese tra gli altri mammiferi.
Ovvio che una arriva a Buenos Aires e non pretende di trovare i pulsanti con la scritta “tiro” e “luce” negli androni dei condomini. Il problema è un altro. È che qui il tiro – o come lo si voglia chiamare, in italiano o spagnolo – proprio non esiste. Non esiste come pulsante nell’androne, né è contemplato come possibilità di aprire agli amici in visita dal proprio appartamento. Non esistono nemmeno i nomi sui citofoni.
Quindi, se vai a casa di qualcuno, devi per prima cosa ricordarti il numero del campanello, che spesso funziona come una battaglia navale, tipo D2. Se non possiedi questa informazione, dimentica la possibilità di scucirla al vicino che esce in quel momento, che non solo non ti farà entrare (e fin qui, niente di particolarmente diverso dall’Italia), ma nemmeno ti dirà a chi citofonare, anche se dimostri di conoscere la persona e di poter ricostruire l’albero genealogico fino alla settima generazione degli antenati. In compenso, ti racconterà che ha un nonno italiano e ti farà l’albero genealogico della sua, di famiglia. Ma non ti farà entrare ugualmente.
Se qualcuno viene da te, ti tocca scendere ad aprire. E se è un fidanzato o un fugace amante che non resta a dormire, immaginati quanto è divertente, dopo, rivestirsi in piena notte e scendere di nuovo per permettergli di andarsene.
Il tutto “per una questione di sicurezza”. Vogliono avere la certezza che tu sei proprio tu, certezza che deriva dal vederti in faccia dall’altra parte del portone in vetro e ferro. Perché non hanno mai sentito nominare Stanislao Moulinsky… Io sarò pure paranoica in un altro senso, ma non posso fare a meno di pensare a cosa accadrebbe se per un incendio uscissimo tutti di corsa dimenticando le chiavi del portone.
Per il rusco la faccenda va così. Buenos Aires è una città sporca. Nelle strade non ci sono cassonetti. Non perché la raccolta differenziata la si fa nei condomini, come a Milano. Ma perché la gente butta il rusco, anzi le sportine del rusco, all’angolo della strada. La differenziata la fa il cartonero, ma a modo suo. Nel senso che tutte le sere passa, guarda quel che c’è, apre i sacchetti, si porta via quello che può riciclare e lascia il resto per strada. Non è il massimo. Pare che tra qualche mese sarà introdotto l’obbligo della differenziata e, come accade sempre qui, avverrà da un giorno all’altro, senza nessuna gradualità. I porteños riusciranno a trasformarlo in un grande evento collettivo. Per “pasarla linda”, non per altro.

 

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FRANCESCA CAPELLI

Sono nata a Bologna, mi sono diplomata al liceo linguistico e ho una laurea in Scienze politiche. Leggere e scrivere sono da sempre la mia passione. Ho iniziato a fare sul serio quando sono entrata all’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano. Dopodiché ho lavorato in varie redazioni a Milano: Reuter’s (agenzia di stampa), Grazia, L’Unità, Newton. E dal 2000 ho scelto di diventare giornalista indipendente. Il mio primo libro, “La macchina uomo” (Dami), è stato pubblicato nel 1998. Sono golosa di cioccolato, soprattutto al peperoncino. Sono mancina e me ne vanto. Anzi, è la cosa di me che preferisco. Vivo a BuenosAires dal 2012.

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