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Argentana La merda non è cacca, il peso delle parole

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La merda non è cacca. Nel senso che le parole hanno un loro peso specifico. E le parolacce ancora di più. E se vogliamo affrontare il tema delle puteadas (imprecazioni, turpiloqui) non posso in alcun modo censurarmi. Perciò, non aspettatevi perifrasi, puntini di sospensione, ics o asterischi.
Percorrerò fino in fondo l’abisso della volgarità, sapendo che – cito Borges – “chi non ha dato tutto all’arte, non ha dato niente”.
Un po’ di etimologia. Putear (verbo) e puteada (sostantivo) derivano da puta, la madre – nel vero senso della parola – di tutte le imprecazioni. Puta o puto può essere qualsiasi cosa: l’empresa puta del teléfono che ti lascia senza segnale, il bar puto che pratica prezzi troppo alti o el chino del supermercado (senza nessuna connotazione sciovinista) che ti batte alla cassa un prezzo diverso da quello dello scaffale e tu c’hai una fame becca e lui è l’unico aperto della strada.
Sfumature. “La puta madre”, piuttosto impersonale, va benissimo quando si rompono le borse della spesa in mezzo alla strada in un giorno di pioggia. Se mentre raccogli il tutto passa un’auto e ti schizza di acqua sporca, ci sta alla grande “la puta que te parió” (che ti ha partorito) o, a mo’ di rafforzativo, “la reputa che te parió”. Se invece sei a faccia a faccia con il destinatario dell’improperio, la scelta spazia da “hijo de una gran puta” fino a “reverendo hijo de remil putas”.
Va detto che il “trámite siempre es personal”, nel senso che nessuno mette in dubbio la morigeratezza di costumi della signora… È del figlio che si vuole dire male.
Organi sessuali. Indispensabili alla nostra rassegna. “Concha” (conchiglia) non necessita di spiegazioni. Degna di nota però è l’esistenza del famoso proverbio “Tira más un pelo de concha que una yunta de buyes”, tradotto in modo letterale. Un luogo molto lontano e sperduto sta “en la concha de la lora” (pappagalla) o “de la lora puta” (se il luogo oltre che lontano è pure impervio).
Mentre per l’omologo maschile si può scegliere tra “carajo” (usato sopratto come rafforzativo), “pija” (molto volgare) e “pito”, che significa “piffero” ma potrebbe anche derivare da “pitón”. E questo la direbbe lunga sul livello di autostima degli uomini da queste parti. Per una volta, va detto, del tutto giustificato.

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FRANCESCA CAPELLI

Sono nata a Bologna, mi sono diplomata al liceo linguistico e ho una laurea in Scienze politiche. Leggere e scrivere sono da sempre la mia passione. Ho iniziato a fare sul serio quando sono entrata all’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano. Dopodiché ho lavorato in varie redazioni a Milano: Reuter’s (agenzia di stampa), Grazia, L’Unità, Newton. E dal 2000 ho scelto di diventare giornalista indipendente. Il mio primo libro, “La macchina uomo” (Dami), è stato pubblicato nel 1998. Sono golosa di cioccolato, soprattutto al peperoncino. Sono mancina e me ne vanto. Anzi, è la cosa di me che preferisco. Vivo a BuenosAires dal 2012.

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