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Teatro

Marina Semyonova Venerata da Stalin sfuggì alle purghe

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La prima e più famosa ballerina di epoca staliniano-sovietica fu Marina Semyonova (1908-2010). Appena diciassettenne, uscita dalla famosa scuola di Agrippina Vagarova, fece scalpore al Teatro Marinsky di Leningrado (che poi diventò nel 1935 ‘Teatro Kirov’) per i numeri di repertorio classico, l’agilità di movimento e la grazia concisa della linea.

Chiamata da Stalin a trasferirsi al Teatro Bolshoi di Mosca nel 1930, andò sposa in seconde nozze con l’autorevole eminenza grigia del bolscevismo, l’armeno Lev Kharakan (il ‘Principe Nero’ ricordato da Malaparte nel ‘Ballo al Kremlino’), già vice commissario agli Esteri con Cicerin, poi in Cina consigliere di Sun Yat Sen, infine diplomatico in Polonia e Turchia.

Nel 1935 la Semyonova fu la prima ballerina sovietica ad esibirsi all’Opera di Parigi con ‘Giselle’ diretta da Serge Lifar.

Venerata in patria e all’estero, Marina subì un duro colpo quando il marito, di vent’anni più grande di lei, venne inghiottito e liquidato dalle epurazioni ordinate da Stalin nel 1937.

Ciononostante, la sua carriera non si interruppe: anzi, nel 1941, nel pieno della guerra, ricevette il Premio Stalin e passò da una esibizione all’altra fino al 1951 quando si ritirò dalle scene per diventare prestigiosa insegnante al Bolshoi.

Dal suo magistero uscirono alcune delle ballerine russe più note al mondo:la Bessmertnova, la Kondratieva, Nadejda Pavlova, Nina Timofeieva e Nina Ananiashvili.

La vigorosa tempra di Marina la accompagnò nella attività di maestra fino ai 96 anni, nel 2004, pochi anni prima di morire celebrata, carica di fama e di onori meritati.

Il suo stile era tutto energia e leggerezza in equilibrio. Possedeva un fisico solido, con ampio torace disposto allo slancio, lo sguardo rivolto all’infinito con il braccio alzato come per salutare l’orizzonte Aveva uno straordinario senso del ritmo e sollevava la gamba con leggerezza ad angolo con quella di appoggio per misurare le pause silenti della musica: dopo di che le braccia disegnavano arabeschi inducendo effetti di soavità e mistero.

Una certa grandiosità emanava dal suo movimento nello spazio, una solidità imponente e leggera: era il tratto di uno stile che la rese indimenticabile protagonista nell’arte della danza.

 

Marina Semyonova in "Giselle"

Marina Semyonova in “Giselle”

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DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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