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Mastro Gisberto Il toscano di “scuola romana”

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Gisberto Ceracchini - Colazione campestre - 1932

A tener viva la memoria del ‘maestro Gisberto’, caro amico di mio nonno Francesco, mi resta un suo disegno e il libriccino Hoepli del 1935 in cui il poeta Libero De Libero lo presenta tra gli artefici della nuova pittura italiana seguita al ‘Novecento’ e maturata a Roma nell’ambiente dei ‘Valori Plastici’.
Gisberto Ceracchini (1899-1982) era venuto giovanissimo a Roma, qui si era formato alla scuola postimpressionista di Armando Spadini, ma aveva presto assunto una maniera tutta sua, autodidatta toscanissimo com’ era di Foiano della Chiana, testimone delle pareti a fresco o dei trittici di legno in tante chiese dove si esercitarono le virtù plastiche da Duccio a Piero e tutti gli altri… Questa fonte d’ispirazione fu il tratto distintivo di uno stile: linguaggio da primitivo, volumi squadrati e spesso monumentali, segno inciso dai contorni netti, richiamo a modelli lineari del primo ‘400, o anche giotto-masacceschi, che dà forma a sentimenti semplici e sinceri, elementari e anacronistici.
Ceracchini, come mio nonno Francesco, viveva in Villa Strohl-fern, dove accatastava tele su tele a soggetto sacro, dopo che, negli anni Trenta, la sua vena narrativa si era precisata in visioni di vita e intimità domestica del mondo contadino da cui proveniva (era figlio di una agiata famiglia di campagna).Il paesaggio, anziché ritratto naturalisticamente, appare filtrato dalla memoria, investito da un’atmosfera di magica sospensione.
Invitato alle principali mostre del Novecento (1926 e 1929) Gisberto Ceracchini ebbe il culmine di notorietà negli anni Trenta per poi avere nel dopoguerra un ripiegamento ed oblìo per essere egli fin troppo legato al ‘novecentismo’ cui per partito preso si opposero i nuovi venuti del secondo dopoguerra.
Io ne avevo fin da ragazzo una sincera stima e quasi venerazione, quando, di rado, mi capitava di sbirciare nel suo studio a lucernario dove comparivano grandi figure ‘sironiane’ stese a pasta densa e poggiate su cavalletti o sostegni di fortuna. Ceracchini era sempre sorridente, di poche parole. Come mio nonno, sostava in Piazza del Popolo assieme agli amici artisti, quando si distaccava dall’eremo dello studio.
Si ritirò anziano a vivere a Petrignano del Lago, nei pressi del Trasimeno, e vi morì nel 1982. Oltre a De Libero, di lui scrissero Roberto Longhi, Margherita Sarfatti, Francesco Trombadori, Giovanni Scheiwiller, Sandro Volta.

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DUCCIO TROMBADORI

Duccio Trombadori. Nato a Roma nel 1945, figlio e nipote d’arte, dal padre Antonello e dal nonno Francesco ha ereditato la passione per la politica e la pittura. Laureato in Filosofia, è stato giornalista, critico d’arte, saggista, docente di estetica alla università di Architettura di Roma. Ha iniziato a scrivere d’ arte su ‘L’Unità’ alla fine degli anni Settanta, ha continuato in seguito su ‘Rinascita’, ‘Panorama’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, e sul Tg3. Esperto d’ arte italiana del ‘900, ha diretto una rivista d’arte (‘Quadri&Sculture’, 1993-1998) ed ha curato monografie di Mario Mafai, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Giulio Turcato, Renato Guttuso, Mario Schifano, Mario Ceroli. Tra il 1993 e il 2013 ha collaborato a diverse edizioni della Biennale di Venezia, di cui è stato consigliere di amministrazione. E’ stato più volte consigliere di amministrazione della Quadriennale di Roma. E’ autore di un libro- intervista con Michel Foucault (1982) e di una biografia ragionata di Gino De Dominicis (2012) . Un suo libro di versi (’Illustre Amore’, 2007) è giunto finalista al Premio Viareggio. E’ pittore di piccoli paesaggi di gusto ‘novecentesco’ che ha esposto a Parigi e Roma tra il 1990 e il 2014.

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