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Società

Miriam Mafai

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Miriam, la vedo dodicenne costretta a lasciare la scuola a seguito delle leggi razziali. Capisce allora ancor meglio cosa vuol dire essere contro il fascismo, come sente dire da sempre in casa dal padre e dalla madre.

Sento le sue parole “avevo vent’anni ed ero felice” che rievocano la partecipazione alla resistenza e l’esordio nella militanza comunista (ringrazio Pigi Battista che l’ha ricordato su twitter).

La vedo in Abruzzo dove io sono arrivato vent’anni dopo, sposa con rito civile del segretario della federazione de l’Aquila, Umberto Scalia. Diventa poi assessore al comune di Pescara nella “giunta popolare” che rimette in piedi una città devastata dalla guerra.

La leggo, giornalista di Vie Nuove, de l’Unità, di Paese Sera, poi di Repubblica dalla fondazione.Già autorevolissima (aveva diretto anche Noi donne) continuerà da quelle colonne a far sentire la sua voce ancora per quasi quarant’anni. Giornalista e donna, dove donna sta ad indicare un punto di vista; sul mondo, su tutto, originale, autonomo, imprevedibile: e consapevole.

Sono lì, seduti con me, lei e Giancarlo, alla Carbonara, nella casa di via Pio Foà o da qualche altra parte, caustici e polemici, in perenne gara di intelligenza fra di loro, ma immediatamente alleati quando qualcuno dice qualcosa che non andava a nessuno dei due; ed era sempre così quando si trattava di cose serie, importanti. Trent’anni insieme, liberi e uniti, questa volta senza matrimonio, neppure civile.

Comunista e amica vera dei socialisti, come del resto Pajetta, malgrado qualche sfottimento e qualche ironia alla quale né lui né lei rinunciavano mai. Alla caduta del muro sta con la svolta, con lucidità e per andare fino in fondo; tanto che nel ’94, quando accettò di candidarsi nella sua Pescara con i Progressisti, lo fece stando nelle file di Alleanza Democratica.

Umanissimamente laica come hanno saputo esserlo solo alcune donne del Pci, Adriana Seroni in testa.

Referendaria, ho sentito per la prima volta da lei la formula “partitocrazia senza partiti” coniata per il lancio del referendum del 1999 che si proponeva di abolire la “quota proporzionale” del Mattarellum.

Miriam, la dimostrazione che si può essere laici, riformisti, liberi: severi con tutti a cominciare da sé, nemici di nessuno. E che essere di sinistra vuol dire questo. Con in più, quella risata squillante, improvvisa, totale, definitiva; che mi risuonerà sempre nelle orecchie, che mi tirerà sempre su, che mi aiuterà a vivere; e – credo – anche a morire.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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