Caricamento

Digita la ricerca

Polis

Monarchia & Repubblica

5.106 visite

 

70 anni da quel 2 giugno, quando gli italiani decisero di volere la Repubblica.

Io ne avevo cinque; non posso far conto sulla mia memoria. Devo, dunque, ricorrere alla testimonianza di qualcuno che c’era, ed era in grado di intendere e di volere. Chi meglio di colui che ha conquistato sul campo il titolo di “fondatore de La Repubblica”; certo, il giornale, ma significa pur qualcosa.

Per di più, il protagonista è stato generoso e ci ha regalato il ricordo palpitante di quegli storici giorni, trascritto da Simonetta Fiori in una intervista pubblicata quattro giorni fa, il 29 maggio.

All’inizio, la notizia; secondo le buone regole del giornalismo. In quel referendum Eugenio Scalfari scelse la Monarchia. Non credo sia inedita, ma è certamente una notizia. La intervistatrice ci informa che egli era maggiorenne (altrimenti non si vede come avrebbe potuto votare), aveva 22 anni ed era neolaureato in giurisprudenza.

Ma Scalfari non vuole peccare di immodestia; per motivare la sua preferenza non fa appello alle sue conoscenze del diritto. “Ero liberale e crociano (appassionato lettore del filosofo napoletano, precisa Fiori). Croce era convinto che l’istituto monarchico offrisse maggiori garanzie di laicità rispetto alla repubblica guidata dalla Democrazia Cristiana”.

Prevedere, nel giugno 1946, che la Repubblica sarebbe stata a guida democristiana rivela senza dubbio una notevole lungimiranza. Il raffinatissimo ragionamento che portò il maestro e il suo giovane seguace a preferire la Monarchia in quanto baluardo all’invadenza vaticana non era, però, molto diffuso. Milioni di elettori votarono Monarchia per il motivo esattamente opposto; erano certi che la Repubblica sarebbe stata “libertina” e “mangiapreti”.

Anche Italio Calvino, caro amico degli anni giovanili, la pensava diversamente e votò Repubblica; non credo per simpatie filoclericali. Italo e Eugenio (ce lo dice lui stesso) ne discussero e proprio in quella occasione, si concluse il loro “scambio epistolare”; cioè non si scrissero più. Il ventiduenne lo spiega con l’esaurirsi delle “intimità adolescenziali”.

A conclusione dell’intervista, viene evocato Napolitano: “Tra noi c’è un rapporto di amicizia, che non comporta essere d’accordo su tutto: sull’attuale riforma costituzionale abbiamo pareri molto diversi”.

Infatti, come ha detto più volte, Scalfari al prossimo referendum voterà NO. L’ultima volta che ha toccato l’argomento, nell’articolo di domenica 22 maggio, sembrerebbe tuttavia disposto a cambiare opinione: “Voterò NO – ha scritto – non tanto per le domande del referendum, quanto per la legge elettorale. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò SI, altrimenti NO”.

Non mi è molto chiaro perché la adozione di quella che fu definita “legge truffa” lo indurrebbe a cambiare opinione; ma è senz’altro una mia deficienza. Mi sembra improbabile, però, che si verifichi la condizione da lui posta. Scalfari voterà, dunque, NO al prossimo referendum come votò Monarchia 70 anni fa.

Ma non facciamone un dramma! “Subito dopo il voto (del 1946) – chiarisce – mi sentii lealmente schierato con la Repubblica”. Croce, Einaudi erano liberali “come lo ero io. In realtà erano repubblicani”. E insiste: “Il voto monarchico non era stato frutto di passione. Ero, in realtà, repubblicano, e lo sarei ridiventato subito dopo”.

Per fortuna la maggioranza degli italiani non fu vittima dello stesso momentaneo “spaesamento”; non devono essere stati molti quelli “in realtà repubblicani” che votarono Monarchia. Chissà come sarebbe restato male Scalfari, “ridiventato” repubblicano, se si fosse trovato la Monarchia vincente.

Allora l’Italia divenne Repubblica nonostante il voto di Scalfari per la Monarchia. Può anche accadere che dopo 70 anni si riesca ad aggiornare (un po’) la Costituzione anche se Scalfari vota NO

 

PS = Meno male che non sono importante. Non devo, quindi, manomettere la storia per conciliarla con la mia biografia

 

Tags:
CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

  • 1

Ti potrebbe piacere

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *