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Storia

Nascita vita e morte di Ernest Hemingway

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Credo che quella mattina abbia pensato a suo padre che nel 1928 si era sparato alla testa fiaccato da un male incurabile. Tra i boschi del Michigan aveva imparato proprio da lui la passione per la caccia e la pesca e l’attrazione per le emozioni forti che sarà il suo segno distintivo come uomo e come scrittore.
Vuole andare in battuta, come tante volte aveva fatto col padre. Si alza di buon’ora, impugna il suo fucile, va sulla veranda, appoggia la doppia canna alla fronte e si spara. E’ il 2 luglio del 1961.
Ernest Hemingway nasce il 21 luglio 1899 a Oak Park, Illinois, Stati Uniti.
Non può partecipare alla guerra come soldato, per un problema agli occhi, ma diventa autista di autoambulanze ed è mandato in Italia sul fronte del Piave. Ferito, lo ricoverano a Milano, dove s’innamora di un’infermiera. Decorato, nel 1919 torna a casa. Comincia a scrivere per un giornale e qualche racconto.
Il fisico muscoloso, il carattere da attaccabrighe, la predilezione per le grandi mangiate e le formidabili bevute lo rendono subito un personaggio unico. E’ bello, duro, scontroso e, nonostante sia poco più che trentenne, è considerato già un buon scrittore di racconti.
Conosce Elizabeth di sei anni più grande di lui, alta e graziosa, si sposano, e vanno a vivere a Parigi. Qui trovano uno straordinario ambiente culturale che lo influenza e lo mette in contatto con le avanguardie letterarie, portandolo a una riflessione profonda sul suo linguaggio.
Nel 1928 scrive “Addio alle armi”. Il libro è salutato con entusiasmo dalla critica e gratificato da un notevole successo commerciale. Intanto nasce la sua passione per la pesca d’altura nella Corrente del Golfo.
Arriva il suo primo safari in Africa, un altro terreno per saggiare la propria forza e il proprio coraggio.
Nel 1935 esce “Verdi colline d’Africa”, romanzo senza trama, con personaggi reali e lo scrittore protagonista.
Si reca in Spagna, da dove manda reportage sulla Guerra civile. L’anno successivo pubblica un volume che si apre con “Le nevi del Chilimangiaro”, ispirato al safari africano.
E’ il 1940 quando divorzia da Pauline e sposa Martha, corrispondente di guerra, si stabiliscono a Finca Vigía, Cuba. Alla fine dell’anno esce “Per chi suona la campana” sulla guerra civile spagnola ed è un successo travolgente. Sta diventando uno dei più grandi esponenti della letteratura del ‘900.
Nel 1941 marito e moglie vanno in Estremo Oriente come corrispondenti della guerra cino-giapponese. Nel 1944 a Londra subisce un incidente automobilistico che gli provoca una brutta ferita alla testa. Conosce un’attraente bionda del Minnesota, Mary, giornalista del “Daily Express”, e comincia a corteggiarla, soprattutto in versi, circostanza inaspettata.
Il 6 giugno è il D-day, il grande sbarco alleato in Normandia. Sbarca anche Hemingway con Martha e costituisce un’unità partigiana con la quale partecipa alla liberazione di Parigi.
Nel 1945, dopo un periodo burrascoso divorzia da Martha e l’anno dopo sposa Mary, quarta e ultima moglie. Due anni più tardi trascorre parecchio tempo in Italia.
“I miei scritti dall’Italia hanno quel non so che di speciale che metterei solo nelle lettere d’innamorato”, dirà. Qui ha scoperto il dolore e la paura, l’amore e la perdita, tutti sentimenti che hanno messo in moto la sua letteratura.
Venezia, resta la città che più gli entra nel cuore e gli ispira “Di là dal fiume e tra gli alberi”. La città dove incontrò anche l’ultimo grande amore della sua vita: la diciottenne Adriana conosciuta a Cortina alle soglie dei cinquant’anni. Ricorderà l’erotismo d’autunno consumato, con una delicatezza straordinaria.
Due anni dopo esce “Il vecchio e il mare”, la storia del vecchio pescatore cubano commuove la gente e piace molto alla critica. Vende cinque milioni di copie in quarantotto ore e vince il Premio Pulitzer.
Due incidenti aerei nel 1953 fiaccano profondamente il fisico di Hemingway, tanto che quando nel 1954 gli è conferito il Premio Nobel, rinuncia a riceverlo di persona.
Ormai non riesce più a scrivere. È debole, invecchiato, malato e si ricovera in una clinica del Minnesota. Nel 1961 compra una villa a Ketchum, Idaho, dove si traferisce. Si convince ormai che non avrà più la vita che ha raccontato sino a quel momento. Lo circondano i trofei, le foto e le sue armi. Quella sarà la sua ultima casa.

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ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

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