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Nella terra degli Indecisi

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Sì, la spinta ad addentrarmi sul serio nella “terra degli indecisi” me l’ha data la pagina de La Stampa che vedete qui sopra.
Anche su questo magazine avete letto il consiglio: quando devi votare in un referendum, prima di tutto guarda bene la materia su cui sei chiamato a pronunciarti. Giusto!.
Però, anche nei referendum non votiamo sotto una campana di vetro. Abbiamo addosso tutto quello che ci succede intorno, vicino e lontano; e non possiamo fare a meno di chiederci quali saranno gli effetti, vicini e lontani, del nostro voto. Non è che vogliamo “buttarla in politica”; semplicemente abbiamo gli occhi aperti e non siamo scemi.
Il “cambiamento”: e chi non lo vuole? Anche con questo referendum è il tema largamente dominante. Però, non è facile. Cambiare cosa? La Costituzione o Renzi? Tutt’e due, con questo solo voto, non si può.
Insomma, il 4 dicembre la voglia di cambiamento può far diventare strabici, può paralizzare. A votare tranquilli, senza lacerazioni e sofferenze, saranno solo
a) quelli che vogliono cambiare la Costituzione e, invece, non vogliono cambiare Renzi ( i SI senza se e senza ma)
b) quelli che non vogliono la riforma della Costituzione, ma vogliono assolutamente cacciare Renzi. (i NO senza se e senza ma)
Quanti sono questi fortunati che si avviano all’urna come a un happy hour? Guardatevi intorno e dite voi. Tutti gli altri, per una ragione o per l’altra, sono “indecisi”, come dicono i sondaggi e i commenti. E la parola prende anche una piega sgradevole, come indicasse una imperfezione se non una vera e propria malattia: dell’animo (poco coraggio) o dell’intelletto (sostanzialmente idiota).
Io non sono un “indeciso”; i miei due obiettivi (sulla Riforma e su Renzi) sono allineati, quindi il mio voto li centra agevolmente entrambi. Ma non penso sia stupido o confuso chi vorrebbe centrarne uno evitando l’altro. La Riforma e Renzi sono effettivamente due questioni diverse, e non è automatico avere le stesso atteggiamento (positivo o negativo che sia) verso l’una e l’altro; l’incertezza, dunque, non è dovuta a debolezza cerebrale degli incerti, ma alla oggettiva complessità della scelta da fare.
Chissà quanti ne avrete sentiti anche voi: “vorrei dare un sostegno a Renzi, ma non me la sento di approvare la Riforma”; ovvero “questa Riforma è necessaria, ma non voterei mai Renzi”. E, allora, cosa fare?
Se vedete le cose così, è evidente che qualunque decisione vi lascerà, contemporaneamente, soddisfatti e insoddisfatti. Se siete stati chiari e onesti con voi stessi, constaterete che la soddisfazione sarà – almeno un po’ – superiore all’insoddisfazione.
Una cosa mi sembra da evitare: dichiarare forfait per sottrarsi al fastidio della scelta, e non presentarsi al seggio. Non pretendo di insegnar nulla a nessuno; mi sembra, però, che se c’è un modo per essere sicuramente insoddisfatti, senza provare alcuna soddisfazione, sia questo.
PS = Ho la sensazione che, mentre ci avviciniamo al “gran giorno” stia occupando la scena un terzo protagonista, oltre alla Riforma e a Renzi; molti lo chiamano “populismo” e non capisco perché visto che si tratta di Grillo e dei suoi. Non pochi cominciano a temere che un loro NO possa dare più forza a questo terzo soggetto. Non sorprende; macerarsi sull’alternativa Riforma-Renzi per accorgersi a cose fatte di aver “messo un tigre” nel motore grillino senza volerlo, sarebbe davvero paradossale. Così, la questione si complica ulteriormente, come sempre quando si passa da due a tre. A meno di non ricorrere a un rimedio molto empirico. Se sei incerto fra due fattori devi soppesarli con grande cura e ti può essere difficile capire se la bilancia pende da una parte; ma se interviene un terzo sul quale non hai dubbi, l’equilibrio si rompe e la scelta – sia pure all’ingrosso – diventa semplice. Di più non voglio dire. Vedete voi.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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