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Nuove forme della memoria

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Ero lì, al vertice del Pci quando il “tramonto” arrivò sul serio, implacabile e definitivo. Dopo eventi di quella portata, è impossibile continuare a pensare, a ricordare, a connettere come si era fatto fino a quel momento. Il racconto cambia passo e direzione, da lineare si fa pluridirezionale; non è un procedere ma un aggirarsi, non una avanzata ma, piuttosto, un’andata e ritorno; o meglio, un susseguirsi di andate e ritorni, di decolli e atterraggi, di variazioni di quota.
C’entra, probabilmente, anche il mestiere di giornalista, che ho praticato. Il giornalista è una macchina con un alto tasso di “dispersione”; ha bisogno di attivare e consumare una quantità di energia molto superiore a quel che risulta dalla lettura di quel che pubblica. Tanto migliore sarà il giornalista quanto maggiore sarà la dispersione di energia che avviene fra il concepimento e la stesura del pezzo. E tutta quella energia che fine fa? No, non va perduta. Sta lì, da qualche parte, a fermentare, come il mosto. Quel caos di ultrasuoni che si mette in moto ogni volta che il giornalista racconta non evapora, resta sempre in ebollizione sia pur miniaturizzato come un segnale digitale. Fino a quando, per una ragione o per l’altra, l’”incalzare della quotidianità” non si allenta; e quel che era ultracompresso, si espande, e acquista linee e colori definiti come mai prima. A te, che sempre te lo sei tenuto dentro in qualche angolo, si presenta come fosse nuovo di zecca, come se non l’avessi mai visto né sentito.
Quanta roba torna fuori! Il rischio è che ti travolga, fino a renderti muto. A darci una mano per non essere travolti, a farci tentare imprese altrimenti proibitive c’è, da qualche tempo, un amico nuovo e potentissimo: l’elettronica, il computer, il web, e la loro “memoria”. Io e i miei coetanei abbiamo avuto davvero una sorte straordinariamente buona: abbiamo vissuto abbastanza da poterci affacciare sul futuro, da far uso degli strumenti che hanno iniziato una nuova era. Lo facciamo in modo impacciato, con passo pesante, come chi ha vissuto buona parte della vita in una altro ambiente, che richiedeva l’applicazione e lo sviluppo di altri organi; non abbiamo con il pollice opponibile l’inaudita destrezza dei nostri nipoti, né riusciamo a spremere dal web ciò di cui sono capaci ragazzi e ragazzini.
Loro volano, noi strisciamo; siamo, in senso proprio, “anfibi”, con tutte le inabilità degli anfibi, ma anche con il privilegio degli anfibi che riescono a muoversi in due dimensioni; e misuriamo quindi il salto, l’enormità del cambiamento. Più avanti nel tempo ci saranno occasioni e possibilità oggi non disponibili; e noi, del resto, non riusciamo a far uso di tutte quelle già oggi a portata di mano. Ma ci è stato concesso di intuire e – pur in forma minima – di sperimentare di cosa si tratta; abbiamo conosciuto il “prima” e abbiamo assaggiato il “dopo”. Non sono molti, nello svolgersi della nostra specie cui è capitato qualcosa di simile. A pensarci bene, questa finestra “anfibia” resterà aperta per pochi decenni, e a noi è capitato di esserci. Non è generoso, e neppure intelligente sprecare una occasione (e una responsabilità) del genere.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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