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Odio e politica

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John Gielgud e Louis Chalern nel "Giulio Cesare" di Joseph L. Mankiewicz - 1953

Più che una “recensione” questa vuol essere una “promozione”: di un libro e, prima ancora dell’autore, Vincenzo Ciampi. Non è certo uno sconosciuto; anche questo magazine ne ha parlato in occasione dell’esordio narrativo. La sua “fama”, però, è inferiore a quanto meriterebbe innanzitutto la qualità della sua scrittura, lineare e gradevole quanto succosa. Del resto Ciampi, già dirigente d’azienda e giornalista, da anni tiene in vita un laboratorio di scrittura. Dopo la lettura di questa ultima opera, aggiungo che la sua fama è inferiore anche all’acume dei pensieri e alla robustezza della cultura.

Il titolo dice già tutto, come accade quando chi scrive ha le idee chiare su quel che ha intenzione di comunicare e di dimostrare: Odio politico. La tesi è che l’odio può diventare dominante nell’agire politico. L’evento storico scelto per dimostrare l’assunto è quasi d’obbligo: l’uccisione di Cesare. Alle Idi di marzo, Ciampi aveva già dedicato un saggio, Le congiure parallele. La narrazione si concentra dunque su quell’evento e sui suoi maggiori protagonisti: Catone, Cassio e Cicerone. In modo implicito e, in alcune parti, esplicito, non si dimentica però il presente; a riprova che l’odio, in politica, non tramonta mai. L’andare e tornare nello spazio di duemila anni intorno a un unico asse fa assumere all’esposizione il tono di un classico pamphlet del pensiero politico.

Spesso le recensioni offrono l’alibi per non leggere il libro segnalato, in quanto se ne sarebbe già capita la sostanza. Io, invece, voglio che questo libro lo leggiate per intero. Per darvi un anticipo di quanto sia gustoso il piatto non trovo di meglio che spigolare fra le frasi più incisive e pesanti.

L’odio per un leader politico, per avere efficacia, non può conciliarsi con una visione normalizzata, per quanto negativa, del bersaglio da colpire. L’eccesso è obbligatorio, altrimenti diventa routine e non interessa nessuno.

Da politiche le divisioni diventano etiche: l’insieme delle diversità politiche e di quelle etiche creano un’inconscia presunzione di supremazia antropologica. Da questo al disprezzo generalizzato il passaggio e facile. Dal disprezzo all’odio, pressoché obbligato.

Catone sapeva aspettare. L’odio rende pazienti.

La quintessenza dell’odio politico sta nel rappresentare il nemico attraverso il giudizio non sulle sue azioni ma sulle sue intenzioni, sicuramente le peggiori.

L’odio può raggiungere un’intensità tale da deformare la realtà e da far considerare accettabile ciò che il raziocinio saprebbe classificare come inaccettabile.

Nell’atteggiamento che portò Cicerone ad allontanarsi definitivamente da Cesare, fino a diventare suo nemico, si rinviene una caratteristica tipica di molti intellettuali in politica: un incontenibile desiderio di potere. La “libido dominandi” è da sempre una componente normale quanto essenziale della lotta politica, accomuna tutti quelli che ambiscono a cariche.

Se è colpito non il nostro portafoglio ma il nostro ego, l’odio sarà ancora più forte perché l’esistenza di chi sta al potere sembra negare la nostra esistenza tout court e ci infligge quella che gli psicologi definiscono “ferita narcisistica”.

Il profondo senso di frustrazione che deriva dall’essere sostanzialmente inascoltato, dal non vedere applicate nella realtà le lezioni che si crede di impartire all’incolta classe politica, non solo è un indizio di fortissimo desiderio di potere, ma è anche un perfetto viatico all’odio politico. La capacità di odiare delle persone colte è sorprendente.

Anche a voi come a me – ne sono certo – ciascuna di queste righe fa venire in mente autorevolissimi personaggi che ascoltiamo e di cui si parla ogni giorno; e vi è venuta voglia di leggere tutto. Se non vi basta, aggiungo che sarete intrattenuti sul “volontariato dell’odio” e sugli “agenti involontari di odio politico”, sulla “sindrome malmostosa del rottamato” (non equivocate, si parla di Cicerone) e sulla “sindrome rancorosa del beneficato”.

Il tutto in 189 paginette formato tascabile. Chiuso il libretto, in controcopertina, troverete questa epigrafe:

L’odio politico non prevede ambiguità né retroversioni. E’, a suo modo, lineare e irreversibile. Non è un sentimento; o meglio, non è solo un sentimento. E’ un modo di vivere”.

odio

Vincenzo Ciampi = L’odio politico – Giubilei Regnani ed. € 15

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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