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PAOLA ERA DIVERSA

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Ida Nasini Campanella, Raffaella al mare, 1934

Ero appena arrivata in una scuola nuova, ero giovane, viaggiavo con la mia Polo bianca sempre di corsa. Il figlio piccolo, la casa, mille speranze e già tante sconfitte. Non vedevo, non sentivo ragione, combattevo sognando.
Una preside tutta di un pezzo (non ne ho trovate più molte) mi volle conoscere. Mi informò: «È una classe difficile, non si preoccupi, lavori e ce la farà. Sono andate via due supplenti ma confido in lei».
La scuola era grande, la forma di un carcere: aule affacciate su un corridoio sospeso su più piani. Conobbi i ragazzi. All’inizio furono loro a studiarmi, ma io in breve li coinvolsi. Ero carina, vivace, preparata. Li trascinai con me.
A un tratto entrò Paola. Alta e grossa, si dondolava avanti e indietro e sorrideva sempre. Con lei c’era Marisa, la sua assistente. Mi corse incontro, ero alla cattedra. Mi afferrò il collo, le braccia e mi strinse in un abbraccio forsennato. Aveva il suo posto vicino a me, ma non riusciva a stare ferma, correva fra i compagni e parlava parlava, poi improvvisamente il silenzio e una fuga. Via via via! Tornava all’improvviso cantando, Laura Pausini dei primi tempi era la sua preferita. Una memoria di ferro e una voce forte e cupa. Una bella voce. Allora era felice e i baci per me erano delicati.
Restai con loro, con lei, un anno intero. Feci di tutto, loro mi seguivano e mai mi fecero male. Lei mi voleva bene, un bene intenso e possessivo. Se mancavo un giorno urlava e si arrabbiava. Diventava feroce. A fine giugno ci salutammo. Pianti, abbracci, fiori, biglietti coi saluti, i disegni da non buttare. Paola mi scrisse qualcosa con la sua grafia scomposta, forse un arrivederci. Fece tutto da sola. Lei sapeva che sarei ritornata a settembre e così si calmò. Viveva con la nonna, la madre non era in grado di accudirla, il padre scomparso.
Ma io non tornai. Altra scuola, altri viaggi, altre storie.
A Natale dell’anno dopo squillò il telefono: era Paola. La riconobbi immediatamente, provai uno stupore, una commozione, li trattenni in me. Lei era tranquilla. Io ero quella dell’anno prima in cuor suo, nessun imbarazzo; mi chiese di tutta la mia famiglia, cantò, mi disse che mi aspettava e presto. Io fui sincera, le raccontai che insegnavo altrove e che non si poteva altrimenti, ma non mi ascoltò. Non mi volle sentire però capì benissimo.
Così per molti e molti Natali la sua telefonata. Mio figlio piccolo, sempre piccolo, per lei non era cresciuto. Io uguale ad allora. Lei a cucire dalle suore, la sua grande nonna a prendersene cura. Paoletta il tempo passa, è andato ma tu e io siamo le stesse.

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