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Società

Patrimoniale

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Lucia Annunziata

Prima pagina de La Stampa di oggi. Articolo sulle elezioni francesi di domenica prossima; Lucia Annunziata parla di Hollande e del suo programma. Scrive: “Completa un quadro di redistribuzione della ricchezza sociale una forte tassa patrimoniale (il 75% sui redditi oltre il milione di euro)”. Errore: una tassa sui redditi, per quanto alta e applicata a redditi alti resta sempre una tassa sui redditi, non diventa mai “patrimoniale”; che, come dice la parola stessa, è una tassa sul patrimonio e non sul reddito. E’ un errore molto diffuso, e consiste nell’usare la parola “patrimonio” come sinonimo di “ricchezza”. Non è così: come ci sono redditi alti e redditi bassi, ci sono patrimoni grandi e patrimoni piccoli. Quando si attiva un prelievo patrimoniale riguarda (esenzioni a parte) TUTTI i patrimoni, non solo quelli dei ricchi. Così è per l’IMU, la nuova tassa sulla casa, tecnicamente una patrimoniale perché la casa è, appunto, un “patrimonio”. Tranne rare eccezioni, la pagheranno tutti , anche chi ha un solo e piccolo appartamento. Molto spesso, quando si dice e si sente dire “patrimoniale” si pensa a una “tassa per i ricchi”. Amplificato negli sbrigativi dibattiti televisivi, questo equivoco esonda dall’ambito concettuale e linguistico e alimenta reazioni emotive e politiche che condizionano profondamente lo spirito pubblico. Non me lo sarei aspettato, però, da una giornalista seria come Lucia Annunziata, in un giornale curato come La Stampa, che sicuramente sottopone ad attenti esami gli articoli che pubblica, soprattutto in prima pagina. Un errore (se volete equivoco) che ha, dunque, non solo diffusione larga ma anche radici profonde.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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