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Editoriale

Povero 8marzo

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Roma Anni70

Marz’otto, ti chiamavamo, irridenti. E ti urlavamo contro: “hai r’8 marzo”, noi, le femministe toste, stanche di mimose, retorica e ipocrisia. Io scrivevo: “porge il mazzetto giallo il cliente alla prostituta, il marito alla cornuta, il fidanzato alla pestata, lo stupratore alla violentata…” Ero giovane e furibonda.

 

Furibonda lo sono ancora, adesso che sei tutto tavolate di ragazze in libera uscita, e spogliarelli di giovanotti prestanti e ben pagati.  

Ma ora sono vecchia e nostalgica. Mi piacciono di nuovo le tue mimose morbide profumate e pelosette, segno d’inizio primavera e di speranza. Ho nostalgia dei nostri freschi cortei, tra festa e protesta, delle nostre prime prese di coscienza della grottesca ingiustizia nella quale eravamo nate, della nostra convinzione di poter cambiare il mondo, e renderlo migliore per tutte e per tutti.

Dai, qualcosa abbiamo ottenuto. Se le nostre figlie vogliono diventare astronaute e ne hanno le qualità possono. E ti ricordi quando non potevamo diventare giudici, perché le mestruazioni ci rendevano cretine? E quanto il delitto d’onore giustificava l’assassinio della moglie fedifraga? Beh, è durato fino al 1980 circa. Ricordi quando le donne adultere andavano in galera? E quando non c’era il divorzio? E per aborto clandestino le donne morivano a centinaia?

E qualcosa è rimasto. Tanto robusta misoginia che invade le menti di destra e sinistra, di uomini e donne, di etero e non. Tanto bel disprezzo per le donne che invade il linguaggio e la cultura, che rende gli insulti “battute di spirito” – che viene sentito come normale, anzi NATURALE.

E quindi ti abbraccio vecchio 8. Ho ancora bisogno di te. Vieni a darmi una mano, ancora, e poi ancora, per me, per figlia e nipoti, per le ragazze di oggi che non sanno, per donne di tutto il mondo.

Non è vero che le mimose puzzano.

 

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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