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Costumi

Quando fu abolita la Prostituzione di Stato

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Eh, sì, quella legge ha sessant’anni, ma la ricordo benissimo. Altri tempi, senza dubbio, e altre vie, altri usi della prostituzione. La “Merlin” – dal nome della pugnace senatrice socialista che la propose e la sostenne con tenacia fino alla approvazione – indica provvidenze sociali per contrastare la prostituzione e il suo sfruttamento. Innanzi tutto, però, decreta la chiusura di quelli che venivano chiamati “casini”, dove il sesso mercenario era organizzato e regolamentato dallo Stato che ne ricavava consistenti risorse economiche.

Da non so quanto tempo, il casino modellava la sessualità, la psicologia, la emotività dei maschi; quindi gli stereotipi di mascolinità e femminilità, il rapporto uomo-donna prima e dopo il matrimonio. Quella legge fu, perciò, accompagnata da un dibattito pubblico appassionato, accanito, spesso furibondo. Non ci fu luogo, dai bar alle famiglie, negozi mercati stadi, nel quale per mesi e mesi non si sia discusso della legge Merlin e dell’argomento che trattava. Tutti, con maggiore o minore reticenza, alla fine si schierarono o furono costretti a farlo.

Noi allora giovani partecipammo con irruenza, anche perché personalmente coinvolti. La maggiore età era fissata a 21 anni, ma c’era l’usanza che al compimento del 18° anno, il festeggiato venisse condotto da una rumorosa masnada di amici nella “casa di tolleranza” (a Foligno – dove allora abitavo – beffardamente ubicata in Via del Giglio) dove sarebbe avvenuta l’iniziazione sessuale con il contorno di lazzi, sberleffi, prese in giro. Se ne sarebbe poi favoleggiato per anni con particolari più umilianti che boccacceschi, non importa se veritieri o inventati. Come tutti i miei coetanei, al di là delle sbruffonate, vivevo questo appuntamento come un condannato in attesa di essere trascinato al patibolo fra due ali di folla irridente. Fare in quel modo la prima esperienza sessuale era una incredibile violenza prima di tutto per chi avrebbe dovuto esserne il glorificato protagonista.

Quando, il 20 febbraio del 1958, la legge Merlin entrò in vigore io e coloro che avevano preso la mia stessa parte provammo un senso di profonda soddisfazione civica. Per coloro che non avevano ancora conosciuto la gogna del 18° compleanno si aggiunse un enorme respiro di sollievo per lo scampato pericolo personale. I miei diciotto anni sarebbero arrivati un anno dopo; grazie alla legge Merlin ho fatto parte della prima leva di giovani maschi italiani libera dal casino.

Anche se accapigliandoci sulla Merlin non si usavano argomenti strettamente politici né si faceva riferimento a partiti, poche divisioni come quella, hanno avuto significati e implicazioni politiche. Noi che ci schierammo a favore siamo poi stati, nella vita, variamente “a sinistra”; gli altri, sono stati dall’altra parte. A metà degli anni ’50, in Italia il referendum non era possibile, ancorché l’istituto fosse previsto nella Costituzione; ma le passioni, i pregiudizi, i valori, i principi messi in campo da quella legge, come l’ampiezza della partecipazione alle discussioni, furono degni della più appassionata consultazione popolare. Sì, fu proprio un referendum; il primo al quale presi parte, vent’anni prima di quello sul divorzio.

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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