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Quota quaranta

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James Stewart in "La donna che visse due volte" di Alfred Hitchcock

“Omogenee e non inconciliabili”: no, non ci si riferisce a come dovrebbero essere le volontà di marito e moglie. Queste parole le ha usate il Presidente della Repubblica, lo scorso 20 dicembre, per dire come devono essere le leggi elettorali di Camera e Senato al fine di “consentire nuove elezioni con esiti chiari”.
Quelle di oggi non sono né omogenee né conciliabili: per il Senato è proporzionale e a turno unico, per la Camera è maggioritaria con ballottaggio, cioè a due turni.
Se restano le attuali difformità e divergenze è difficilissimo, per non dire impossibile, che dalle urne escano due assemblee con la stessa maggioranza; condizione indispensabile se si vuole che un governo nasca e operi, visto che ambedue le assemblee devono continuare a votare la fiducia. E’ uno dei regali che il trionfo del NO nel recente referendum ha fatto all’Italia.
La sollecitazione di Mattarella è più che ragionevole; ma anche un po’ generica. Si avvicina il 24 gennaio, giorno in cui la Corte costituzionale si pronuncerà sulla legge elettorale della Camera. Le delibere della Corte permetteranno elezioni “con esiti chiari”, daranno cioè vita ad Assemblee omogenee? Qual è il metro obiettivo per misurare questa omogeneità?
Una prima “omogeneizzazione” è nella responsabilità della stessa Corte costituzionale. E’ insensato – da un punto di vista logico prima ancora che politico – immaginare che due rami del Parlamento con identici poteri siano eletti uno a turno unico e l’altro a doppio turno. La Corte dovrà dunque dire a quale criterio dovranno uniformarsi ambedue le leggi.
La legge per il Senato è quella definita dalla Corte tre anni fa; proprio per questo motivo è stata leggiadramente etichettata come consultellum. Di conseguenza, non mi sembra particolarmente azzardato prevedere che la prossima pronuncia elimini il doppio turno – il ballottaggio – dalla legge per la Camera (detta italicum per darsi anch’essa un’aria sexy) piuttosto che ne solleciti la introduzione anche in quella per il Senato.
Personalmente, non riesco a vedere con quale fondato argomento costituzionale si possa cancellare il ballottaggio; ma questo non ha nessun rilievo né in sé (io non sono nessuno e comunque non faccio parte dell’inclito collegio) né ai fini del ragionamento che qui voglio fare. L’importante è aver chiaro e affermare altrettanto chiaramente che se dalla legge per la Camera – come quasi tutti prevedono – viene cancellato il doppio turno e il resto dell’impianto resta nella sostanza identico, le due leggi pur diverse diventano omogenee e compatibili.
Il perché è semplicissimo, tanto da spiegare quanto da capire: si chiama “quota quaranta”. La legge per la Camera prevede che, nel caso in cui una lista superi il 40%, disponga di un premio che la porta a 340 deputati, maggioranza a Montecitorio dove la metà più uno dei componenti è 316. Nella legge per il Senato non è previsto nessun premio; ci sono, però sbarramenti su base regionale piuttosto alti. Le liste più forti ne ricavano un vantaggio; è quello che si chiama il “premio implicito”. Tutti i calcoli dicono che se una delle liste superasse il 40% avrebbe una tranquilla maggioranza anche a Palazzo Madama. Le condizioni indicate da Mattarella sarebbero, perciò, rispettate e si potrebbe votare senza ulteriori attese.
La domanda che si può porre a questo punto è ovvia: “E se quota quaranta non viene superata, cosa accade?”. Anche la risposta è semplice: “Pazienza. Usciranno due assemblee composte su base proporzionale. Le maggioranze per governare dipenderanno allora dalle trattative e dagli accordi fra i partiti”.
Non un gran che, senza dubbio; ma di questi tempi è già qualcosa. Non precipiteremmo di nuovo nel proporzionale “puro”. Sarebbero gli stessi elettori a decidere se far scattare il premio di maggioranza spingendo una lista al di sopra di “quota quaranta” o se accontentarsi del tran tran proporzionale tenendole tutte al di sotto.
Il mio auspicio è chiaro: su “quota quaranta” – se sarà questo l’orientamento della Consulta – si chiudano i giochi e non si faccia più melina sulle leggi elettorali. Se invece la pronuncia della suprema Corte sarà diversa, torneremo a occuparcene. Prosit.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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