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Rai Dalla oligarchia alla diarchia

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Monica Maggioni Presidente Rai

 

Sulla Rai forse ho sbagliato. Alla domanda su cosa pensassi della riforma proposta dal governo, ho risposto che non mi sembra una riforma; al massimo è un aggiustamento. Chi sia interessato alle motivazioni che ho addotto può trovarle in una intervista a “Radio radicale”.

La riforma, come si sa, non ha ancora completato l’iter. Il mandato del precedente Consiglio di Amministrazione, però, è scaduto e l’azionista (il ministero dell’Economia) ha proceduto al rinnovo con la legge che c’è: la “Gasparri”.

Non ha fatto gran differenza: ancora nove consiglieri invece dei futuri sette, un direttore generale al posto dell’istituendo amministratore delegato. Ho pensato anche io, come molti altri, che si è ripetuto il rito di sempre, semmai in versione sbiadita.

Il pensiero iniziale e spontaneo, col passare dei giorni mi ha convinto però sempre meno. Col rimuginare, ho collegato questo rinnovo del vertice Rai al precedente gestito da Monti. Lo scossone tre anni fa fu forte, perfino con qualche strappo formale rispetto alla legge che era sempre la “Gasparri”. Di fatto, l’onnipotente Cda fu molto ridimensionato; sia nelle attribuzioni, delegate in buona parte al Dg e un po’ anche al Presidente, sia nelle persone che ne facevano parte che non somigliavano più ai “plenipotenziari” incaricati di tutelare gli interessi di chi li nominava.

L’ultima tornata mi è sembrata il secondo tempo della stessa partita. Il Cda ha preso un colpo ulteriore, per le funzioni che esercita, per il livello dei componenti e per altri motivi, compreso il prestigio e il trattamento economico. La concentrazione della attenzione e dei poteri sul Dg (prossimo Ad) e sul Presidente è confermata e accresciuta. Inoltre, i partiti di oggi non hanno nulla a che fare con quelli della prima repubblica, che comandavano e rivendicavano con convinzione il diritto di comandare.

Ho fatto, dunque, due più due. Il Cda è stato per decenni il luogo nel quale la lottizzazione è stata celebrata e messa in atto; se il Cda avvizzisce, addirittura evapora, il rito della lottizzazione si estingue perché non ha più il suo tempio. Si dissolverebbe, cosi – non so se per consapevole determinazione o per cinico pragmatismo – il problema che non sono riusciti a risolvere numerosi e poderosi tentativi di riforma.

Con MaggioniCampo Dall’Orto si fa evidente la transizione (a veder bene iniziata da tempo) dal sistema oligarchico del vecchio Cda a una diarchia; i due terzi di voti necessari in Vigilanza per la nomina del Presidente regola un inevitabile equilibrio bipartisan.

E’ solo una ipotesi, se volete un paradosso, forse frutto di un mio soggettivo travisamento. Non mi sembra, però, del tutto infondata; per cui ho deciso di esporla pubblicamente, con la più ampia riserva sulla base di una rigorosa verifica nei fatti che seguiranno. Consapevole, poi, che un conto è liquidare un vecchio tran tran ormai logorato, altro è pensare, definire e realizzare un nuovo fondamento e una nuova missione per il servizio pubblico radiotelevisivo e per l’azienda Rai.

 

CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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