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SOGNO INFRANTO

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Alberto Sordi in "Un americano a Roma" (1954)

Masticando l’ultima forchettata sbircio furtivamente le manine del piccolo bipede di sesso femminile che da sei anni e otto mesi si è impadronita di buona parte della mia vita.
Cincischiano le manine, chiaro segno di inappetenza, c’è speranza… è un ragù improvvisato, infrasettimanale, ma dignitoso.
Fingo indifferenza e mentre con la mano destra, complice un pezzo di pane, raccolgo dal piatto gli ultimi residui di sugo, con l’occhio sinistro vedo le manine dividere il piatto a metà: è fatta! Sono il primo ricettacolo degli avanzi di cibo (anche masticati) di mia figlia, quel mezzo piatto mi spetta di diritto.
Bevo un sorso di birra pregustando il piacere; inspiro, predispongo l’apparato fonatorio, il fiato raggiunge le corde vocali, il cervello fra milioni di combinazioni elabora la frase: “La mangio io” e manda l’impulso, apro la bocca e…
“Se non la vuoi non la mangiare, la mangi stasera.”
La voce della mamma è Cassazione. Taccio.
Fine del sogno.

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