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Tranquilli. Dopo Renzi c’è Scalfari

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Vecchi e Giovani

Vignetta di Pietro Vanessi

Lunedì 12 gennaio 2015; scarno comunicato del Quirinale: “Alle ore 15 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riceverà il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi”. Tutti capiscono. Renzi getta la spugna. Il colloquio dura un’ora, all’uscita la dichiarazione;. “Ho rassegnato le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato. Non sono riuscito a farcela e non resto un minuto di più: come ho sempre detto. Non è vero, come si legge, che non ci sarebbero alternative. Almeno una ce n’è: Eugenio Scalfari, che fin dai miei esordi ha continuato a dire che ero un bluff, che avrei fatto solo danni. Logica vorrebbe che toccasse a lui formare il nuovo governo; ma a decidere in proposito è solo il Capo dello Stato. Grazie”.

Per i giornalisti è una boutade divertente e polemica. Non si rendono conto della complessità del momento. Napolitano aveva iniziato così il suo messaggio di fine anno “Care italiane, cari italiani, è questa l’ultima volta che mi rivolgo a voi in veste di Presidente della Repubblica”. La caduta del governo era l’ultima cosa che voleva, ma aveva previsto anche quella. Nell’eventualità  avrebbe dato l’incarico, avrebbe ricevuto il giuramento dei nuovi ministri in modo che il governo entrasse in carica. Un minuto dopo si sarebbe dimesso. Non vuole sciogliere per la terza volta un Parlamento dopo appena due anni di vita; eleggano un nuovo Presidente e veda lui cosa fare. Tutto previsto, fin nei minimi particolari.

Il Capo dello Stato trascorre il pomeriggio e la notte in mezzo a mille pensieri e travagli, passa in rassegna tutti i nomi possibili e immaginabili. Alla fine, conclude che la clarté florentine del giovanotto al passo d’addio è l’unica che contenga un minimo di razionalità; e convoca Scalfari. Gli conferisce l’incarico e gli chiede di fare tutto entro le 24 ore. Mercoledì 14 gennaio alle ore 12, Scalfari torna al Quirinale; il colloquio dura 35 minuti. All’uscita parla così.

“Ho rinnovato al Capo dello Stato il ringraziamento per la fiducia che mi ha manifestato. Ho rispettato i tempi che mi erano stati assegnati. Ho sciolto la riserva e ho presentato al Presidente Napolitano la lista dei ministri. Seguirò le orme del mio predecessore solo nel costituire un gabinetto composto di persone mie coetanee. Ecco i nuovi ministri:

Ministri senza portafoglio: Riforme istituzionali e rapporti con il Parlamento, Pietro Ingrao = Riforma della Pubblica Amministrazione, Virginio Rognoni = Affari regionali, turismo e spettacolo, Umberto Veronesi = Accoglienza e integrazione. Giovanni Sartori

Ministri con portafoglio = Esteri, Arnaldo Forlani = Interno, Emanuele Macaluso = Giustizia, Dario Fo = Difesa, Sergio Zavoli = Economia, Alfredo Reichlin = Sviluppo economico, Nerio Nesi = Infrastrutture e trasporti, Arrigo Levi = Agricoltura, Giorgio Ruffolo = Ambiente, Franco Zeffirelli = Lavoro, Cesare Romiti = Istruzione, Aldo Tortorella = Beni Culturali, Gillo Dorfles = Salute, Franca Valeri

Sottosegretario alla Presidenza del consiglio sarà Marco Pannella. Nel 1955 uscimmo insieme dal vecchio Partito Liberale per dar vita al Partito Radicale. In nome di questo antico sodalizio ho fatto una eccezione. Marco, infatti, non può essere ancora ascritto fra i novantenni avendo solo 84 anni”.

Nei corridoi si sussurra che Ciriaco De Mita (86 anni) e Rino Formica (87) non hanno trovato posto perché “troppo giovani”. Finisce così l’era Renzi. Noi 60/70enni ci ritroviamo miracolosamente ringiovaniti.

 

La vignetta è di PV (Pietro Vanessi

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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