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Truffe di ieri, balle di oggi.

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Alcide De Gasperi vota

In mezzo al gran cicaleccio sulle leggi elettorali (ripreso in grande stile negli ultimi giorni) su come si “armonizzano” quella della Camera con quella del Senato, un amico mi ha chiesto: “Ma la legge truffa era solo per la Camera o anche per il Senato?”. “Mi sembra solo per la Camera – ho risposto – Ma voglio verificare”. Ecco cosa ho trovato. Prima di tutto, però, la spiegazione di cosa prevedeva quella legge passata alla storia con il marchio infamante di “truffa”. Si trattava, come diremmo oggi, di un premio di maggioranza ad un insieme di partiti che, prima del voto, dichiaravano di “apparentarsi”; era un patto elettorale che non implicava un impegno esplicito a governare insieme, anche se ad esso alludeva. Se, tutti insieme avessero superato il 50% dei votanti, quindi la maggioranza assoluta, avrebbero avuto il 65% dei seggi della Camera, che si sarebbero distribuiti fra loro in base alla percentuale raccolta da ciascuno. Gli “apparentati” (DC, socialdemocratici, liberali, repubblicani, Sudtiroler, Partito sardo d’azione) nel 1953 mancarono il bersaglio per 54.000 voti. Il 31 luglio dell’anno successivo quella legge fu abrogata
Ai fini della curiosità del mio amico, sì, la legge riguardava solo la Camera; per il Senato non si toccava nulla. Come mai? La curiosità si è acuita e sono andato a vedere i risultati del voto. Nel 1948 al Senato la DC aveva ottenuto il 48,11% dei voti, tradotti in 131 seggi, pari al 55.1% della assemblea di palazzo Madama di allora, che era meno numerosa (I seggi del Senato e della Camera diventeranno fissi – rispettivamente 315 e 630 – solo nel 1963. Prima la consistenza delle Assemblee era variabile perché il testo originario della Costituzione prevedeva che un eletto corrispondesse a un numero fisso di elettori). Proporzionale veniva e viene tuttora considerata quella legge elettorale; che, tuttavia assicurava al primo partito un premio “implicito”, tutt’altro che trascurabile: il 7,1%. L’effetto disproporzionale di quella legge, a favore dei partiti più forti e a danno di quelli più piccoli lo si vede benissimo se facciamo il rapporto fra voti ed eletti ottenuti da ciascuno. Nel 1948 la DC ebbe 1 senatore ogni 83.200 voti. Al Fronte popolare un senatore costò 96.800 voti; di più ma non tanto, a confronto dei voti necessari ai socialdemocratici (118.000), ai repubblicani (148.500), al MSI (164.000) o al Blocco Nazionale (174.000).
Per ottenere un effetto maggioritario al Senato non c’era, dunque, bisogno di presentare una “legge truffa” fotocopia; bastava lasciare le cose come stavano. Infatti il 7 giugno 1953 la DC ebbe al Senato il 39,76% dei voti, che le fruttò, però il 47,2% dei seggi; un incremento del 7,4%, niente male. Ogni senatore in quella occasione richiese alla DC un po’ più che cinque anni prima, 86.250 voti; ben poco, però, a confronto dei 164.000 voti necessari al MSI o i 232.000 e 261.500 pagati rispettivamente da liberali e socialdemocratici. I repubblicani, poi, con oltre 261.000 voti non ebbero alcun rappresentante nella “camera alta”.
Per la verità, anche la legge di allora per la Camera un piccolo premio al partito maggiore lo assicurava; nel 1948 la DC a fronte del 48,51% dei voti aveva ottenuto il 53,1% dei deputati (+4,5%); nel 53 perse voti (40,10%) e deputati (44,6%) ma l’incremento differenziale restò del 4,5%. I meccanismi di quella legge proporzionale consentivano l’equivalenza più o meno esatta fra voti raccolti e eletti ottenuti intorno al 30% del consenso; chi stava sopra otteneva un vantaggio, chi stava sotto riceveva una penalizzazione. La differenza fra Camera e Senato era dovuta al fatto che l’Assemblea di Palazzo Madama, eletta su base regionale, non prevedeva i recuperi nel collegio unico nazionale, presente invece alla Camera. Se nelle regioni non ottenevi un eletto, i tuoi voti andavano perduti.
L’incursione negli archivi per ricostruire questa storia (storiella se preferite) mi ha chiarito due cose.
a. L’obiettivo di De Gasperi con la cosiddetta “legge truffa” non era di cercare la maggioranza per cambiare la Costituzione, come i suoi avversari dissero allora. Voleva solo mantenere la DC intorno alla maggioranza assoluta alla Camera, visto che al Senato c’era comunque vicina. Temeva che senza questa condizione, i suoi alleati centristi sarebbero diventati di difficile gestione; come in effetti avvenne.
b. Venendo all’oggi: la legge per il Senato rispetto a quella del 1953 ha in più sbarramenti piuttosto alti, per cui il premio “implicito” per chi si aggirasse intorno al 40% sarebbe senza dubbio più alto di quel 7 e rotti per cento di cui già allora usufruì la DC. Per cui, poche chiacchiere: visto che la Corte ha cancellato il ballottaggio ma ha mantenuto “quota quaranta”, chi supera quell’asticella ha la maggioranza di qua e di là. Smettetela con tutti i diversivi per guadagnare tempo. Decidete di votare quando volete; ma le leggi elettorali non c’entrano; quelle che ci sono funzionano. Certo, non possono trasformare nani in giganti. Se a “quota quaranta” non arrivate, datevi da fare. Crescete! E, per quanto riguarda i minori, se volete entrare in Senato dovete superare in qualche regione l’8%; altrimenti a casa; nani siete e nani rimanete.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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