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Cinema

Una storia senza nome

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Ciascuno ha il suo doppio 
di Costanza Firrao

Regista teatrale e cinematografico, scrittore, Roberto Andò è innanzitutto uno studioso e intellettuale siciliano. Tra i suoi maestri Leonardo Sciascia, Francesco Rosi, Federico Fellini e Giuseppe Tornatore. Come in “Viva la libertà” (2013), il regista palermitano torna a parlare del “doppio” anche nel suo ultimo lungometraggio, “Una storia senza nome“. Lì c’era la storia di due fratelli gemelli, qui ogni personaggio e situazione ha il suo doppio. Tra episodi reali (la sparizione di un quadro del Caravaggio avvenuta nel ’69) e finzione, Andò imbastisce una trama complessa, ricca di colpi di scena, un po’ melò, un po’ thriller, un po’ divertissement. La storia si dipana nello studio di un produttore cinematografico che sforna film di successo, quasi tutti sceneggiati da uno scrittore bello e furbastro, Alessandro Pes (Gassmann), che si avvale dell’aiuto della timida segretaria Valeria (Micaela Ramazzotti). Poteva andare come al solito, che tu ci mettevi la faccia e io la storia – dice Valeria ad Alessandro – ma poi tutto si complica e nessun tassello del puzzle torna al suo posto. Anzi alla fine tutto torna, ma con una serie di artifici che certa critica non ha gradito – maionese impazzita, materia caotica e poco comprensibile, operina minore e lambiccata, scorrimento farraginoso – e che altri, compresa la sottoscritta, hanno trovato deliziosa proprio nella sua apparente confusione.
Un meta-film, una sceneggiatura nella sceneggiatura, in cui i confini tra realtà e finzione sono labili e fuorvianti e quando ti pare di averne colto finalmente il senso, tutto sfuma in un magma indefinito. Salvo capire che Andò racconta la natura umana nelle sue diverse sfaccettature: avidità, passione, generosità, coraggio, scaltrezza, inclinazione al crimine, amore in tutte le sue forme.
I due interpreti principali, a parte il cammeo di Gassmann, quello della madre nevrotica di Valeria (Laura Morante) e quello di Antonio Catania nei panni del produttore cinematografico, sono la Ramazzotti e Renato Carpentieri, coppia che ritroviamo come nell’opera di Amelio “La tenerezza“. Anche in questa occasione il sodalizio tra la giovane donna problematica e l’anziano misterioso che entra nella sua vita, è essenziale nella dinamica del racconto. Tanti gli omaggi disseminati qua e là al mondo del cinema (Billy Wilder, Lars Von Trier) e della canzone: le note dissacranti di “Disperato erotico stomp” di Dalla fanno da sottofondo a una delle scene più divertenti del film.

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Un mistero italiano

di Giuliana Maldini

“Una storia senza nome” è una commedia-gialla gradevole e non banale, che si segue con molto piacere e parecchia suspence. E’ la vicenda vera di uno dei tanti misteri italiani mai risolti, legato al mondo della mafia siciliana, e la protagonista è una ghost-writher che deve scrivere la sceneggiatura di un film all’ombra di uno scrittorucolo incapace di cui è innamorata. Ciascun personaggio ha dei segreti e non è mai quel che sembra, a cominciare dalla stessa protagonista che, inizialmente succube e masochista, tira poi fuori una grinta inaspettata man mano che la storia procede, grazie anche all’aiuto di un misteriosissimo signore barbuto che le da importanti suggerimenti. Il film ha tuttavia dei momenti deboli, soprattutto quando vuole farci sorridere a tutti i costi (c’è per esempio un torvo personaggio che, chissà perché, balbetta, e c’è un eccesso di cialtroneria nella figura dello scrittore interpretato da Gassmann). Il regista ha definito questo suo film “una commedia beffarda”, forse è così, è senza dubbio una storia ben congegnata con un ottimo ritmo, ma con eccessivi momenti macchiettistici. Peccato, perché c’è un susseguirsi di continui colpi di scena ed è comunque un bel film. Concludendo: anche stavolta la recitazione della Ramazzotti è, a mio avviso, sopra le righe, mentre Alessandro Gassmann, è come sempre bravo e strafighissimo.

Fuori concorso a Venezia, Una storia senza nome di Roberto Andò (Italia-Francia 2018)
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