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Uno di famiglia

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Autunno 1958. Mio padre torna da Bruxelles con una serie di foto dell’Atomium, il simbolo dell’Esposizione Universale. Un atomo di cristallo di ferro ingrandito centosessantacinque miliardi di volte in formato 10 x 10 cm. Qualche mese dopo nacqui io. Come tutti quelli della mia generazione crebbi in un mondo in cui ogni giorno si inventavano nuove frontiere geografiche e tecnologiche. Perciò l’Atomium mi ha sempre lasciato indifferente.
Ma il ’58 non era l’anno giusto per essere cinici. Ne sa qualcosa Thomas Foley, che in quell’anno lascia moglie e figlia di pochi mesi per andare a gestire il pub Britannia, costruito nel padiglione inglese dell’Esposizione Universale. Durante il soggiorno belga incontra un oste ubriacone, un russo impiccione, un compagno di stanza chiacchierone, due spie di sua Maestà alquanto viscidone e una hostess fiamminga munita di qualità talmente concrete da dematerializzare l’apparente solido matrimonio di Mr. Foley.
All’ombra dell’Atomium, dentro una densa nuvola di fumo di sigarette che rende irriconoscibili i locali pubblici frequentati dai protagonisti, si dipana così una storia d’amore e di spionaggio inverosimile, ma spassosissima.
Certo, Foley (un po’ Gary Cooper, un po’ Dirk Bogarde) non è Smiley, ma nemmeno Coe è John Le Carré. Per fortuna.
Lo scrittore di Birminghan è un po’ uno di famiglia. Racconta la storia dalla parte degli inadeguati, dei disadattati. Personaggi sognatori e brocchi. Sognano grandi imprese o grandi amori, sperano nella pace nel mondo e intanto un tossico frega loro il portafogli.
Oppure finiscono in un intrigo internazionale nel bel mezzo della Guerra fredda. Questo è appunto il caso di Expo 58, l’ultimo romanzo di Jonathan Coe, di cui Thomas Foley è l’inconsapevole protagonista.
Coe, con il sorriso timido di chi non vorrebbe disturbare troppo, entra nelle nostre case. Si accomoda sul divano e comincia a raccontarci storie di uomini che non sono la Storia, ma che la Storia l’hanno subita e continuano a subirla. Noi ridiamo delle loro disgrazie, ma Coe, per rispetto dell’ospitalità, non ride, perché i suoi attori siamo proprio noi.
Ieri ho messo a soqquadro casa e finalmente ho trovato le foto dell’Atomium scattate da mio padre. Ne ho scannerizzata una. Zoomando si riesce a vedere un signore, con un bicchiere in mano, affacciato alla finestra del ristorante sito nella sfera posta più in alto.
Ha una lieve somiglianza con Gary Cooper, lieve è pure il velo di nostalgia sugli occhi azzurri.
Non sa ancora cosa ha in serbo per lui Mr. Coe.

 

Jonathan Coe, Expo 58 ─ Trad. D. Vezzoli, ed. Feltrinelli © – pp 280, € 17.

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