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Torna settembre, ed è come se fosse il vero inizio dell’anno. Tutto ricomincia, tutto si rimette più o meno in moto in questo periodo, dal lavoro (per chi ce l’ha) alla scuola, dalle elucubrazioni da tastiera ai fatti concreti.
E anche il calcio, Golem indistruttibile di almeno tre stagioni su quattro, croce e delizia dei popoli di ben più di mezzo mondo riprende campo, arricchito quest’anno in Italia da una novità clamorosa.
Il suo nome è Var.
Mi rendo conto che questo articolo suonerà bizzarro, forse anche molesto per il pur considerevole numero di persone che nutrono indifferenza o addirittura avversione per lo sport in generale e il pallone in particolare. Ma la realtà è che questo Var, acronimo del pomposo “Video Assistant Referee” – come a dire aiuto tecnologico per poveri arbitri perennemente accusati di incapacità e, peggio, partigianeria prezzolata dai soliti poteri forti – è uno degli argomenti più gettonati, tra un cappuccino autentico e una diatriba telematica da socialnetwork.
Di che si tratta? Più semplice spiegarlo che metterlo in pratica. In sostanza, quando nel corso di un match si verificano episodi di dubbia interpretazione, fatti che potrebbero comportare decisioni gravi, tipo un rigore da concedere o un’espulsione da comminare, l’arbitro può decidere di chiedere aiuto.
Interrompe dunque il gioco e, con un gesto plateale ma inequivocabile (traccia nell’aria il perimetro di un quadrato che vorrebbe rappresentare un provvidenziale schermo video) e si avvia verso i colleghi che, a bordo campo, detengono in tempo pressoché reale i riflessi filmati di quanto accaduto pochi secondi prima. Dopo un drammatico, febbrile consulto, l’uomo in giallo prende la sua decisione, confortato dalla seconda visione, magari rallentata, dell’azione dubbia.
Tutto molto bello, direbbe un vecchio telecronista dei tempi in cui c’era solo la Rai a raccontarci le partite di calcio.
Invece no. Sarà forse un po’ presto per dirlo, ma sembra proprio che il supporto tecnologico abbia sì regalato qualche certezza tecnica in più, tranquillizzando gli animi sulla precisione e la giustezza delle decisioni prese. Ma il campo delle polemiche del giorno dopo si è prontamente spostato, traslocando pochi metri virtuali più in là senza sognarsi di scomparire, come ingenuamente auspicato.
Il fatto è che, a valutare se un episodio debba essere considerato meritevole o meno di attenzione tecnologica, è pur sempre lui, il più odiato dagli italiani: l’arbitro. Il quale, oppresso anche dalle nuove, ulteriori tensioni dovute all’esigenza di non rallentare il ritmo dello spettacolo sportivo, interrompendo la partita per consultazioni percepite spesso come confuse e interminabili, azzecca o sbaglia le sue decisioni esattamente come prima.
Morale: il calcio, lo sport in generale non sarà mai perfetto. E meno male, perché è roba da umani, una delle ultime faccende rimaste a strapparci gioie e bestemmie veraci. Ed è così che lo vogliamo.

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