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Vieni a casa

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Immagine di Sabrina Suadoni

Pietro mette in moto, allaccia la cintura e inforca gli occhiali: c’è un sole che acceca. Che strano questo gennaio padano che sembra aprile! Accende la radio, esce dal vialetto, svolta sull’argine e continua a guardare nello specchietto retrovisore finché il cancello si chiude del tutto. Accelera. La sua C3 bianca sparisce dietro le case, sull’argine del Galasso.

Giovanni sta passando sul cavalcavia della tangenziale. Ha il finestrino aperto, fa caldo per essere gennaio. Non ha fretta, guida e si guarda attorno distrattamente. Nel canale che costeggia la strada per Colorno vede un’auto capovolta nell’acqua. Frena di colpo, si ferma. Chi si deve chiamare in questi casi? Prova a fare il numero dei vigili urbani. .

È sabato mattina, saranno le undici, in Comune non c’è nessuno. Il sindaco sente il telefono dei vigili squillare. Nessuno che risponda. Saranno fuori di pattuglia, pensa.
Pronto?
È Giovanni che segnala l’incidente.
D’accordo, ci penso io, grazie.
Chiama i carabinieri e va sul posto a vedere.
Ci sono già i vigili del fuoco, agganciano l’auto e la sollevano. È come se la scolassero su un lavandino, non si capisce ancora se ci sia dentro qualcuno.

Luca va in ufficio, anche se oggi è sabato. Solo un paio d’ore, non ci saranno telefonate e riuscirà a sbrigare un po’ di pratiche arretrate. È di buon umore, questo gennaio primaverile riconcilia col mondo. Ha fatto colazione a casa con Pietro prima che lui partisse per Milano. Vai piano mi raccomando, ci vediamo stasera.
In ufficio c’è già Lauretta, la sua segretaria. Buon giorno dottore, le faccio un caffè?
Ma sì! Poi cominciamo.Venendo qui ho visto i pompieri che recuperavano dal canale un’auto capovolta.

Squilla il cellulare di Lauretta. Sì, pronto? … Che cosa?
Luca la guarda impallidire. Dammi quel telefono! grida.
È il sindaco.
Vieni subito qui sull’argine, tuo figlio ha avuto un incidente. Vieni piano, non correre.

Lo hanno tirato fuori dall’auto. È un ragazzo di diciotto anni, atletico, bello. Tocca al sindaco riconoscerlo. Il viso è blu, rigido e gonfio. Ma è lui, Pietro. La casa appena sotto la strada è la sua, quella dove vive con i suoi genitori e la sorella. Ora è steso sull’argine. Il sole gli asciuga la pelle, i lineamenti si distendono e riacquistano dolcezza.

Il padre lo guarda e non capisce, non ci crede.
È lui, è Pietro. Ma non è vero, non è morto. Abbiamo fatto colazione insieme, stava andando a Milano.
Non ha lacrime, non ha pace. Solo domande senza risposta.

Dallo stradello della casa, a duecento metri dal canale, arriva la mamma.
Non urla, non piange. Guarda il figlio disteso sull’asfalto, bellissimo, quasi sorridente. Non lo tocca, lo avvolge con lo sguardo: non ha neanche un graffio, niente che giustifichi quella morte crudele. Si siede per terra, sull’argine, al sole. Prende il cellulare e chiama la figlia a New York.
Marta sono la mamma, tuo fratello ha avuto un incidente, è morto.
Vieni a casa.

 

 

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