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Viva il PD. Mai cosi forte

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Vasco Errani: “Non sarà un addio. Spero sia un Arrivederci”. Massimo D’Alema: “Con Orlando segretario le cose cambierebbero” (cioè, potrei rientrare nel PD). Varo dei Democratici e Progressisti a Testaccio: “Andremo tutti a votare per Orlando” (fonte: Monica Guerzoni, Corriere della sera 26 febbraio 2017).
Ma che scissione è, questa? E’ evidente che non rifiutano il PD; rifiutano Renzi (a proposito di “personalizzazione”!). Oggi escono perché sono consapevoli della propria debolezza e sanno che non ce la farebbero a sconfiggerlo in campo aperto. Ma il loro obiettivo non è fare un altro partito. Vogliono cancellare Renzi. Alcuni solo da segretario; altri per affermare che la “sinistra” (intesa a modo loro) non può stare in un partito in cui ci sia gente come lui. Insomma, una manifestazione di vero e proprio “razzismo politico”.
Comunque, questa “scissione con progetto di rientro” è un evidente riconoscimento della funzione insostituibile del PD. Le partite decisive per la sinistra (e, anche, largamente, per l’Italia) sono quelle che si giocano sul campo del PD. Meglio di tutti lo sanno quanti se ne allontanano per sgambare un po’ su qualche campetto d’allenamento; senza perdere d’occhio, però, il campo principale. Perché conta quel che accade lì.
Altro che “crisi del PD”! Il PD non è mai risultato tanto decisivo come in questi giorni; e a farlo capire sono proprio i comportamenti e le dichiarazioni dei fuoriusciti. Il PD è nato definendosi democratico anche perché vuol essere “aperto e contendibile”. Coloro che si separano oggi con l’obiettivo di rientrare domani, in attesa – per farlo – di un cambio di leadership possono comportarsi così in quanto considerano il PD, per l’appunto, “aperto e contendibile”. Non provano a contenderlo oggi perché consci di non farcela; scelgono un’altra strada nella speranza di raggiungere – prima o poi – l’obiettivo. Ma possono far così perché quel partito è davvero “aperto”, davvero “contendibile”.
Una delle sciocchezze più madornali e dannose, è stata la trovata del “partito di Renzi, PdR”. Renzi non ha fatto un partito “suo”; Renzi ha capito la novità del PD, ci ha creduto, l’ha utilizzata e ne ha conquistato la leadership. L’essenziale, è che quella leadership deriva dalla vittoria in una competizione democratica aperta a milioni di persone. Se Orlando o Emiliano, prevalessero nella prossima competizione, non nascerebbe un partito “loro”; sarebbe la conferma della bontà e della efficacia della “formula PD”. Con nessuno, oggi o in futuro, questo tratto costitutivo del PD potrebbe essere cancellato; se non distruggendo il partito stesso, come avverrebbe se tornassero in auge le pratiche oligarchiche dei partiti della “prima repubblica”.
E non c’entra niente “l’uomo solo al comando”. Non è vero che i meccanismi congressuali del PD, con il voto conclusivo aperto ai cittadini, producano inevitabilmente effetti “plebiscitari”. Lo Statuto è preciso: al voto popolare finale accedono i 3 (sottolineo tre) candidati più votati dagli iscritti nei circoli. Se uno dei tre ottiene la maggioranza assoluta dei consensi viene proclamato segretario nella successiva riunione della Assemblea nazionale. In caso contrario, in quella stessa Assemblea – la cui composizione è rigorosamente proporzionale – si va al confronto e alla scelta fra i due che hanno raccolto più voti.
Così è scritto nello Statuto. E il regolamento prevede, non a caso, una settimana di intervallo fra il voto popolare e la riunione dell’Assemblea nazionale; per dare il tempo – qualora ce ne sia la necessità – di maturare decisioni che non sono affatto automatiche. In sostanza, però, è sempre il voto popolare a decidere: sia che il Segretario risulti eletto subito, sia che si affidi all’Assemblea il compito di farlo.
Ci pensino quelli che hanno deciso di andare a fare un giro e che aspettano il momento propizio per rientrare. L’amministratore del condominio può cambiare; anzi, sempre a norma di Statuto, dopo due mandati il Segretario del PD deve cambiare. Le norme che regolano il condominio, però, sono quelle; e rifiutarle, cercare di aggirarle, è molto azzardato, oltre che poco conveniente.
Un esempio? Non sarebbe migliore la condizione e la posizione odierna di Bersani, Epifani, D’Alema, Speranza e via elencando, se, negli ultimi tre anni, invece di pensare solo a demolire Renzi si fossero applicati a selezionare, promuovere e rafforzare una candidatura alla leadership che fosse risultata oggi effettivamente competitiva?
Questo, solo questo, chiede il PD: a loro e a chiunque.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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