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Storia

28 giugno 1914 Uno sparo a Sarajevo

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Gavrilo Princip

 

101 anni esatti. Oggi è domenica, allora era lunedì; a Sarajevo, però, era festa: una festa solenne, il Vidovdan, il giorno in cui si celebra San Vito, martire cristiano oggetto di venerazione nella Chiesa ortodossa. Sullo sfondo il ricordo di un altro 28 giugno, quello del 1389; secondo la tradizione in quel giorno ci fu la sanguinosissima battaglia di Kosovo Polje contro l’Impero Ottomano; lì affonda le radici l’orgoglio nazionale serbo. Quanto siano ancora condizionanti questi eventi ce lo hanno fatto capire le violenze e la barbarie che hanno sconvolto di nuovo quelle zone non molti anni fa.

Il 28 giugno del 1914, Gavrilo Princip, patriota fattosi terrorista, uccise l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo e sua moglie Sofia in visita ufficiale nella città bosniaca. Princip era uno studente, tanto convinto di quel che pensava e voleva, da non indugiare di fronte all’assassinio; che gli riuscì dopo traversie rocambolesche, quasi per caso. Una storia identica a quella di Seiffedine Rezgui che qualche ora fa, sulla spiaggia di Sousse, ha falciato con un kalashnikov una quarantina di turisti “occidentali”; ISIS lo ha subito adottato e santificato con il nome di battaglia Abu Yahya al-Qayrawani. L’unica differenza fra i due è che a Kosovo Polje, sei secoli fa, avrebbero combattuto l’uno contro l’altro.

Per il resto, lo scenario è quasi perfettamente sovrapponibile. Comincia una calda estate; l’Europa è pigra e appare sazia. Ha alle spalle gli anni della Belle époque ma non si rende ben conto che sono finiti; pensa, e spera, che prima o poi torneranno, con la loro vitalità. E’ l’Europa che ci racconta con affettuosa partecipazione Illies Florian nel suo 1913. L’anno prima della tempesta: Kafka, Stravinskij, Schönberg, Freud, Rilke. Sullo sfondo, Brecht e Hitler, che annunciano il lacerante futuro ma sono giovani e “fuori fuoco”, nessuno li conosce ancora.

Inquietudini, per carità, ce ne sono, come sempre; ma non al punto da cancellare l’ottimismo dominante. Le molte storie pubblicate in occasione del centenario della “Grande guerra” concordano nell’affermare che il conflitto deflagrò anche perché pochissimi pensavano che fosse possibile, perfino dopo Sarajevo. Ecco, per tutti, come la racconta Gian Enrico Rusconi in 1914: attacco a occidente: “Nelle prime settimane di luglio l’orizzonte sembra ancora relativamente sereno. La scena politica è dominata dalla diplomazia con i suoi rituali di note, raccomandazioni, ammonimenti. A Berlino si fa di tutto per dimostrare un clima disteso…. La gente comincia a pensare che anche questa volta la diplomazia troverà un compromesso”.

Non leggiamo ogni giorno – oggi – parole simili, non sentiamo dichiarazioni analoghe? Si tratti della Grecia che sta andando a rotoli e si vedrà se trascinerà con se anche l’euro; o del conflitto, endemico e negato, alla frontiera orientale dell’Ukraina, dove corre la faglia lungo la quale si incontrano e si scontrano da sempre Europa e Russia; o si tratti delle migliaia e migliaia di “dannati della terra” che cercano rifugio in un’Europa che non amano e neppure capiscono. Incombente, sempre il terrorismo: che l’ISIS interpreta con una sapienza e un’efficacia senza precedenti. I recentissimi attentati hanno anch’essi un referente temporale simbolico, molto più prossimo di Kosovo Polje: il 29 giugno, un anno fa è stato proclamato il califfato indipendente.

Lo so che la storia non si ripete mai identica. Ma so anche che gli umani non si liberano mai del tutto dalle loro illusioni e dai loro errori. E anche le guerre cambiano, non si svolgono e non sono combattute sempre allo stesso modo, con gli stessi costi e le stesse conseguenze.

28 giugno… 101 anni fa lo sparo di Sarajevo. Anche oggi è un 28 giugno. Pensiamoci.

 

L'autore della strage di Sousse

L’autore della strage di Sousse

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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