Era il 1953; frequentavo la quarta elementare. Sfido, tra i lettori, chi non ha avuto almeno una sorella maggiore che gestisse la vita quotidiana di un minore. Io ne avevo addirittura due: tra loro e me correvano parecchi anni di differenza. E, allora, eccole lì, le mie chiocce, a ripetere: il bimbo sta venendo su bene, ma i suoi compagni sembrano più alti. Dipendesse dalle tonsille? In effetti, avevo quelle ghiandole un po’ ingrossate, ma non tanto da impedirmi di vivere una vita vispa e serena. Quando però le mie badanti ante litteram realizzarono che, “in fila per due”, a scuola, occupavo sempre la seconda o la terza posizione, si diedero da fare, persuadendo i genitori che era tempo di asportare quelle ghiandole, per non compromettere la mia crescita futura.
Il mio cielo azzurro divenne cupo e grigio. Papà prenotò una visita con un famoso otorino, che programmò la cruenta asportazione.
Il professore me lo raffiguro ancora come un persecutore di innocenti che nemmeno Erode…Aveva un che di militare, di sbrigativo, che non mi lasciava tranquillo.
In una mattina soleggiata, dovetti avviarmi, al seguito di mio padre, presso lo studio del dottore. Nell’anticamera non ero però solo: mi aggregai ad altri candidati al martirio, tutti come me con un muso lungo e gli occhi bassi. Eravamo arrivati in anticipo; più i minuti passavano, più si accrescevano le mie paure.
Dalle vetrate del balcone si vedeva il mare. Considerati i lunghi tempi di attesa, papà decise di accompagnarmi su un arenile antistante per farmi ammirare la star del momento, un cetaceo spiaggiato del quale si parlava tanto, allora, nella mia città.
Con la mano nella mano del genitore, mi persuasi a tal punto che, in fin dei conti, forse non avrei sofferto troppo: anzi, sarei stato premiato, prima con la vista della balena, in seguito, con tanti sorbetti al limone (si usava così; dopo l’intervento, per attenuare il dolore della ferita, si mangiavano gelati).
La balena fu per me un fatto memorabile. Per un’oretta la cura funzionò. Quel mostro marino s’insediò in un cantuccio remoto della mente: una figura biblica, con la bocca semiaperta che mostrava fanoni che sembravano sorridenti. Fu una provvisoria distrazione: sembrava però che quasi mi aspettasse.
Dire “balena” faceva pensare a qualcosa di grandioso, quasi di immenso. In realtà, era un “balenottero”, ma nessuno volle chiamarlo così: sarebbe stato come diminuire il regalo che la natura ci aveva fatto, portando proprio da noi una creatura inaspettata, tanto da farla diventare uno straordinario diversivo. E, dopo la guerra, c’era bisogno di distrazioni minime!
La “balena” fu adottata dalla comunità. Con quel nome fu archiviata nel mio subconscio. Vederla di persona fu, comunque, un fatto consolatorio.
Per ospitare il cetaceo, era stato allestito un hangar sull’arenile. Pagato un simbolico biglietto all’ingresso, si faceva il giro attorno alla carcassa. Non c’era molta gente, potei osservarla con calma, con lo stupore che quel corpaccione gigantesco, meritava.
La sua fine mi intrigava; mi chiedevo cosa fosse accaduto perché fosse venuta a trovare la sua fine sulle nostre coste. Spiaciuto, rimuginavo storie improbabili. Quasi mi affezionai.
Dopo di che, fui riportato dal professore che, senza troppe anestesie, si mise in azione proferendo minacce ogni volta che accennavo a un rigurgito. “Ti metto le stellette”, gridava. Terrorizzato, non comprendevo bene a cosa volesse alludere. Mentre vedevo le stelle, quelle vere, col divaricatore che premeva sulle doloranti mascelle, mi asportò le tonsille in men che non si dica. A casa, poi, effettivamente venni rimpinzato per giorni e giorni di gelati al limone, unica conseguenza piacevole dello scempio subìto.
Per decenni, la balena fu cancellata dai ricordi e non sapevo più se l’avessi solo immaginata, se l’avessi mai vista davvero.
Dopo un po’, l’interesse per quell’evento venne a scemare e una rara fotografia, reperita sul WEB, mi ha riportato finalmente alla memoria che, una volta, un balenottero era arrivato, come per miracolo, da noi.
Il suo scheletro fu inviato al Museo Zoologico di Roma, dove tuttora è collocato. Ci piace immaginare che sia uno scheletro pulito e bello, come pulita e bella era la città che accolse la “balena”, con amichevole curiosità, una settantina di anni fa.

Balenottero spiaggiato
Dopoguerra Impresioni giovanili Medicina primitiva

Che meraviglia di racconto ❣️
davvero – enzo ha la capacità di farci entrare dentro le cose – nelle vite. Eppure con leggerezza
Suggestivo! Ed evocativo, per me, di un’operazione alle tonsille infingarda: il gelato fu una menzogna, più volte ribadita, l’operazione un vortice nero di anestetico e una notte insonne e sanguinolenta.
Consiglio la lettura del resoconto di Michel Tournier sulla sua nefanda ablazione: avrebbe senz’altro fatto fuori il medico che gliel’aveva praticata…
L’asportazione delle tonsille a quel tempo non l’avrei augurata neppure al mio peggior nemico. La balena, per fortuna, ha aiutato ad addolcire un ricordo doloroso. Bravo Barone!
Ho apprezzato questo racconto, delicato e suggestivo. Complimenti 😊