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Viaggi

Coming into Los Angeles

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Los Angeles non è bella.
È una coperta raffazzonata con avanzi di altri posti.
Ci abitano vite mediocri che cercano una parte e una fetta di torta per pagare l’affitto.
Le riconoscerai facile: girano a vuoto e portano a spasso un caffè e una finta espressione yoga.
Hanno la faccia di chi sa che la prossima stazione è Vegas, la divisa sintetica e il vassoio dei drink da far roteare tra le lucine di un albergo-casinò.

In L.A. le strade sono buche e rattoppi, i parchimetri non funzionano e c’è il traffico. Traffico vero, europeo, serrato.
Scendete per Sunset Boulevard alla domenica mattina.
Dopo aver scartato meccanicamente il fantasma di River Phoenix sul marciapiede davanti alla Viper Room, incontrerete le ombre delle puttane che se ne vanno a casa.
Vestiti più sciancrati dei loro archi vitali e un filo nero che pende dall’orlo.

E ancora giù, per Hollywood Boulevard, gli indici puntati a terra dei turisti che saltellano da una mattonella all’altra della Walk of Fame. Guarda chi ho trovato.
Un tipo con una camicia a quadri mulina su una bici senza freni.

Il guaio di L.A. è che pensa di avere inventato la dieta mediterranea.
Il guaio di L.A. è che dietro ai fondali ci sono solo puntelli di legno, grovigli di cavi e due figuranti che si baciano di nascosto.

Una cosa bella ce la troverete, per pochi dollari di parcheggio, qualche volta gratis.
È l’oceano.
Aspettate il crepuscolo e scegliete.

Andatevene a Point Dume o a El Matador Cove, per vedere La Nave di Cristallo avvicinarsi. Un altro bacio.

O arrampicatevi sulla collinetta alle spalle di Santa Monica, da dove Henry Miller affila ancora lo sguardo da vecchio cinese per non perdersi nemmeno un secondo del sole che muore.

Maria Laura Irene

And mine’s a bubble not blown up for praise, but just to play with, as an infant plays.

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