Dalle Madri Pie a Noli

(dedicato a Liliana, nel 13° dalla morte)

Per alcuni anni, nei primissimi anni ’60, la vacanza marina mia e di mammà si svolse a Noli, presso la Casa delle Madri Pie, a pochi passi dal gioiellino romanico di San Paragorio; e i ricordi più o meno nostalgici sono tutti qui.
A giugno l’aria era invasa dall’olezzo dei tigli e di qualche glicine rifiorente; invece le siepette di pittospori della passeggiata lungomare, come sempre, presentavano già le palline dure dei frutti…
Nel cortile sul retro della pensione canonica si aggiravano (?) due o tre tartarughe di età esponenziale, come quella di Madre Morbelli, la temuta Superiora, e di Madre Pirovano, la Vice; tra bambini e poi ragazzini si giocava ai quattro cantoni sfruttando i quattro giovani platani ivi piantumati.
Il cortile principale anteriore vantava due palme ragguardevoli per altezza, panchine di cemento e cespugli vari, variamente fragranti.
Un bel dì successe che correndo nello stretto passaggio tra edificio e muraglione, per raggiungere appunto il giardino sul davanti, cozzai frontalmente, è il caso di dirlo, con un altro bambino proveniente giusto sull’angolo in direzione contraria: una botta da lasciarti secco a terra. Nella notte la mia fronte fu trattata con dell’amido e non crebbe particolarmente; si seppe invece che a quell’altro fu prescritta la vegetallumina, che non ebbe il risultato sperato.
Di fianco al salone principale del pian terreno vi era la cappella dedicata alla Madonna, dove ci si raccoglieva a volte in preghiera e dove conoscemmo la giovane Madre C., che divenne confidente anche epistolare di mammà e che anni dopo lasciò l’abito, proprio come Audrey Hepburn in “Storia di una monaca” (1959).
Il rituale dei pasti alle Madri Pie prevedeva anche una bottiglietta sagomata di vino rossastro e asprigno ad ogni tavolo: evidentemente gli adulti non ci facevano molto caso e così una volta m’inebriai e la successiva escursione alle rovine del Castello Ursino risultò alquanto ondeggiante.
Un anno ci fu un giovanotto affettato che si lamentò per il pane ‘sciocco’… Sciocco lui.
A volte il pranzo o la cena terminavano con una fetta di crostata ultraprelibata.
Ma l’epifania joyciana che mi ha stimolato a scrivere queste poche righe era l’incanto del salone silenzioso la sera tardi, quando capitava di attraversarlo per raggiungere la nostra camera, di ritorno da un’uscita serale un po’ tarda appunto: le scodelle e le tazze per la colazione erano già tutte predisposte capovolte sui tavoli, in attesa per ore, all’insaputa di quasi tutti.

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