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Storia

ELEZIONI A MARZO

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L’autore ci ha inviato il testo che pubblichiamo accompagnato da questo commento: “Ora capisco, guardando questa puntata di  l’eredità, perché nessun giornale, a eccezione de Il Foglio, ha voluto pubblicare il mio articolo sulle elezioni in Germania negli anni 32-33 che risale allo scorso gennaio. La ragione è chiara: nessuno l’avrebbe capito”. L’autore ci ha anche fornito il link che utilizziamo e ci ha autorizzati alla pubblicazione. Lo ringraziamo molto – La Redazione

Le elezioni del 5 marzo furono le ultime. Negli otto mesi precedenti avevano votato ben altre due volte per le politiche. Tutte e tre le volte nessun partito ottenne la maggioranza. Tutte e tre le volte arrivò primo un partito anomalo, sorto dal nulla, che rifiutava sdegnosamente di trattare e allearsi con gli altri partiti. Un partito a vocazione dittatoriale più che maggioritaria, verrebbe da dire. Rivendicava il governo e tutto il potere. Ma da solo. A priori. Con o senza maggioranza.
È storia degli anni ’30 del secolo scorso. In Germania. Niente a che fare col nostro presente. Le vaghe somiglianze con l’attualità sono puramente intenzionali. La ragione per cui mi viene da raccontarla è soprattutto una: la scaramanzia.
Il sistema elettorale nella Germania di Weimar era proporzionale. Sulla scheda delle elezioni del 31 luglio 1932 figuravano oltre sessanta simboli. Primo risultò il Partito Nazionale Socialista dei Lavoratori, col 37,27%. Secondo il partito Socialdemocratico col 21,58. Terzo il Partito Comunista col 14,32. Al quarto posto il Centro, col 12,44. Una dozzina di partiti minori ottennero da 4 a 1 seggio ciascuno.
Il leader del Nsdap (dalle inziali in tedesco), il partito arrivato primo, era Adolf Hitler. I suoi comizi erano vere performance teatrali. Dopo ogni elezione rivendicava la nomina a cancelliere. Ma rifiutava fermamente qualunque alleanza al governo. A dire il vero non c’erano neanche i numeri per coalizioni possibili.
Presidente della Repubblica era l’anziano Maresciallo Von Hindenburg. Questi Hitler lo vedeva come il fumo negli occhi. Lo disprezzava. Lo chiamava “il caporale”. Giurava che “mai e poi mai” lo avrebbe fatto cancelliere. Socialisti e Comunisti, arrivati secondi e terzi, si odiavano tra loro peggio di quanto odiassero la destra. Comunque non avrebbero avuto una maggioranza anche fossero riusciti a mettersi d’accordo. Nemmeno se avessero imbarcato pure i partiti di centro. Sulla carta, una maggioranza aritmetica avrebbe potuto formarla Nazisti e Comunisti, o Nazisti e Socialdemocratici, o tra tutti e tre insieme in una Grosse Koalition. Ma era impensabile.
Si formò un governo “presidenziale”, guidato dal centrista Von Papen. Per tornare a votare subito dopo, il 6 novembre. Risultato: pressappoco come prima. Unico mutamento percepibile, un cedimento dei Nazisti: dal 37 al 33%. Di nuovo si fece un governo “presidenziale”. Con alla testa un militare centrista, il generale Kurt Von Schleicher.
Ma Von Papen odiava Schleicher, benchè i due appartenessero alle stessa area politica. Gli diceva di star sereno. Ma tanto fece, tramò e manovrò dietro le quinte che riuscì nell’intento di scalzare il rivale. Intavolò colloqui segretissimi con Hitler. Questi, che fino ad un attimo prima escludeva qualsiasi patteggiamento, era fermo sulla posizione “tutto il governo o niente”, accettò di guidare un governo di coalizione con solo un paio di ministri nazisti. Sabotò e fece cadere Schleicher. E, con la scusa di prevenire un colpo di Stato da parte dei militari, che gli erano vicini, convinse l’anziano presidente a dare l’incarico a Hitler.
Il paradosso è che Hitler divenne cancelliere quando era in calo. I nazisti avevano perso oltre 2 milioni di voti tra le elezioni di luglio e quelle di novembre. C’era addirittura chi li dava come finiti. La situazione economica stava per la prima volta migliorando dopo anni di crisi feroce. Si poteva presumere che la carica di protesta che aveva sostenuto gli estremismi si stesse riducendo. Gli ultimi provvedimenti del governo Schleicher erano tesi a consolidare la ripresa e l’occupazione. Von Papen scommise che il governo Hitler sarebbe durato poco, giusto il tempo necessario a scaldargli la sedia, e fosse comunque manovrabile.
Hitler fu nominato cancelliere e giurò il 30 gennaio 1933. Il giorno dopo sciolse il Parlamento e fece convocare nuove elezioni per il 5 marzo (sic, il 5, non il 4 marzo). Dopo di che in Germania non si sarebbe più votato (ad eccezione di un paio di referendum, anzi plebisciti, che rendevano ancora più assoluti i suoi poteri). Le ultime elezioni della Repubblica di Weimar si svolsero nel clima di violenze, intimidazioni e arresti di avversari politici seguiti all’incendio del Reichstag. Eppure neanche quella volta Hitler ebbe una maggioranza assoluta. I nazisti si fermarono al 43%.
La sinistra e i centristi insieme avevano una percentuale quasi analoga. Ma non c’era verso che si mettessero d’accordo. Consideravano Hitler un buffone, un esagitato. Non lo presero sul serio. Avrebbe confessato Goebbels nel suo diario: “La nostra fortuna fu che i marxisti e la stampa ebraica non ci presero sul serio […] Spesso e amaramente, i nostri avversari hanno dovuto in seguito rimpiangere di non averci assolutamente conosciuto, oppure, quando ci conoscevano, di aver solo saputo ridere di noi”.

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