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Fuori dai denti

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Immagine di Mauro Biani da "Il Manifesto" 2015

Le decisioni pesanti (la cancellazione del ballottaggio e il mantenimento del premio di maggioranza a quota quaranta) sono state prese dalla Consulta e nessuno può pensare di cambiarle. Infatti, nessuno dice di volerlo fare.
Però, mentre M5S, Lega e Fdi vogliono votare subito, Berlusconi e gran parte delle sinistre-sinistre, a cominciare da quelle “interne” al PD – per così dire – vogliono allungare il brodo. Non si capisce per quale motivo se non per accrescere il piombo nelle ali di Renzi. Basterebbe questo, per me, a farmi volere il contrario.
Perché sorprendersi, allora, se Renzi cerca con i suoi avversari “esterni” che hanno però in comune con lui l’obiettivo del voto senza ulteriori indugi, stipula un accordo sulla legge elettorale? Un accordo neppure oneroso, perché estendere al Senato una legge per la Camera che nessuno contesta ha solo dei vantaggi, il primo dei quali è soddisfare l’inquilino del Quirinale, particolarmente sensibile al tema della “omogeneità”. Più omogenee di due leggi uguali non so cosa si possa chiedere.
Non escludo che, strada facendo, si arrivi anche a trasferire dal Senato alla Camera le coalizioni, attribuendo a queste il premio di maggioranza. Con questo ulteriore aggiustamento, Renzi darebbe una mano non piccola a Berlusconi che, con l’accordo di oggi, è abbastanza messo in un angolo, se non altro perché ottengono vantaggi i suoi competitori: sulla destra (Salvini ottiene il voto) e sul centro (Alfano abbassa lo sbarramento al 3% anche al Senato).
Se le coalizioni diventano titolari del premio, Berlusconi può realizzare l’obiettivo politico, sottolineato anche nell’ultima intervista dell’altro ieri, di coalizzare tutto il centrodestra. Sarebbe una finta, destinata a dissolversi un minuto dopo la chiusura dei seggi, ma che gli servirebbe per condurre la campagna elettorale presentandosi come protagonista di serie A e non di serie B. Insomma, una di quelle finte che a Berlusconi piacciono.
E’ vero che l’accordo che si delinea accentua ancor più lo sbilanciamento verso il proporzionale; che, comunque, nella sostanza, è già avvenuto. Ne possono però venire delle conseguenze non necessariamente negative. A cominciare dall’incentivo  a D’Alema Bersani & C ad andare per conto loro. Se il PD non si libera da quella zavorra è morto. Forse non ce la fa comunque; ma con loro dentro è sicuramente morto.
Anche per chi auspica (io lo prevedo inevitabile ma non lo auspico) l’incontro del PD con Berlusconi, e per le prospettive che lo stesso Berlusconi persegue, il quadro che si presenta non ha particolari controindicazioni; dopo il voto con le leggi suddette le possibilità di un accordo per la formazione della maggioranza e del governo restano identiche, sia numericamente che politicamente.
E poi io penso che le prossime elezioni saranno un passaggio tutt’altro che risolutivo; accrescerà, o renderà quanto meno evidente a tutti, il disordine e lo sfascio nel quale l’Italia si trova, la incapacità di dotare il Paese di un governo degno di questo nome, soprattutto a causa dell’esito del referendum. Per cui altre elezioni saranno obbligate a stretto giro di posta, e non credo una sola volta. In zona Weimar non c’è il pericolo di entrare. Ci siamo già entrati; il 4 dicembre.
Non vi basta? Prevedo una ascesa sicura dello spread nei prossimi mesi. Perché (a parte le condizioni dell’Italia dopo il 4 dicembre) Trump vuole far leva sulle tensioni (purtroppo reali) all’interno della UE. Di fronte al manifestarsi così chiaro della volontà del nuovo Presidente USA i mercati mettono in conto un periodo di turbolenze serie in Europa e nell’area euro e possono facilmente pensare che i paesi più esposti ne pagheranno le conseguenze più pesanti e più rapide. Adatteranno quindi i propri comportamenti a questa previsione. Allacciate le cinture!

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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