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Giovane vecchio cuore

Quando ero bambino ho avuto per lei una vera adorazione, che il tempo non ha mai cancellato. Per i cinquant’anni della sua carriera l’ho cercata per un’intervista e lei ha gentilmente accettato. Gigliola Cinquetti si racconta a Ellerì.

Il 1 febbraio 1964 lei vinceva il Festival di Sanremo, a soli sedici anni. A distanza di cinquant’anni, cosa è rimasto di quella ragazza dall’aria spaurita nell’elegante e raffinata signora di oggi?
Non era spaurita. Era beneducata e gentile. Quindi anche elegante e raffinata. Non ve ne siete accorti? Di quella ragazza non è rimasto nulla tranne un ricordo, il mio, che non coinciderà mai con il vostro.
Nel ’63 ha vinto Castrocaro con una canzone di Gaber, dolce ma molto ironica. Nel ’65 si è ripresentata a Sanremo con un pezzo di Ciampi. Poi ci saranno Guccini, Modugno e Vecchioni. Come mai nel ’64 arriva invece una canzone “bigotta” e quasi sorpassata dai tempi come Non ho l’età?
Non ho l’età era bigotta e sorpassata per gli studenti della borghesia come me. Non per una massa di giovani ancora legati al mondo contadino o appena inurbati. La mia casa discografica fu irremovibile e ricorse a ogni stratagemma per convincermi. Ma rivendico comunque la mia scelta: è la mia cifra che ha reso questa canzone un successo internazionale fuori dal tempo e dal contesto del testo, chiedo scusa per il bisticcio di parole.
Nel ’63 era esploso in tutta Europa il fenomeno Beatles. Che rapporto aveva lei, sedicenne, con la musica straniera?
Con i Beatles e con i Rolling Stones che ho incontrato a Londra alla Decca (“le dispiace fare una foto con questo nuovo gruppo?”), la mia casa discografica in Inghilterra, non avevo il rapporto di chi fruisce musica, ma quello di chi percorre alcune tracce in comune. Gli stessi teatri, a volte, gli stessi impresari, gli stessi programmi televisivi. Non che non capissi la loro importanza e grandezza, ma me la sarei goduta assai di più in seguito.
Cos’era e cos’è, secondo lei, Sanremo: una manifestazione capace di rispecchiare lo stato della musica italiana o uno specchio sempre in ritardo?
Sanremo ha rispecchiato sempre molto di più dello stato della musica italiana. Ha rispecchiato il paese. Lo ha fatto al tempo di Volare, di Non ho l’età e anche adesso che non ci ricordiamo neanche i pezzi dell’anno prima perché perdiamo, appunto, i pezzi.
La sua carriera si è sviluppata su diversi fronti con delle scelte sempre particolari e interessanti che fanno pensare che, a volte, soprattutto in ambito discografico, sia stata costretta in un repertorio diverso da quello che avrebbe voluto. È così?
Sì, qualche escursione di troppo nel folk me la potevo risparmiare. Ma se ascolto certe cose di colleghi e colleghe mi consolo. Meno male, penso. Anche i grandi attori hanno fatto un sacco di film brutti. Un artista deve essere generoso, deve fare tutto. Mi dispiace molto di più per le cose non fatte, belle o brutte che fossero.
Ha mai avuto la tentazione di diventare talent scout?
Temo di essere negata. Quelli che piacciono a me cantano male, sono squadrati. Io cerco l’autenticità dell’emozione. Figurarsi! Oggi non passa niente che non sia “telefonato” almeno tre giorni prima. Fatta eccezione per Non ho l’età, che ha segnato il suo destino, qual è la canzone a cui si sente più legata e perché?

Non ho l’età, non ho l’età, non ho l’età. Croce e delizia. Poi The winner takes it all degli Abba, che canto nei miei più recenti concerti con grande senso di libertà. Nella vita si può perdere, evviva.
Sì, canzone con la quale si classificò seconda, dietro gli Abba, all’Eurofestival del ’74, per un certo periodo non venne trasmessa da radio e televisione perché si riteneva potesse condizionare il voto degli italiani nel referendum sul divorzio. La sua voleva veramente essere un’indicazione di voto?
Se avessi voluto dare un’indicazione avrei cantato No. No all’abrogazione della legge sul divorzio. Ero divorzista e lo dicevo a ogni occasione. Com’è che non lo pubblicavano mai? Il conformismo è una brutta malattia.
Tra tutte le sue esperienze di lavoro, quale non rifarebbe mai più?
Io dico sempre che se rinascessi non farei nessuna delle cose che ho fatto. Cambierei tutto. Da giovane ero angosciata perché sapevo di essere ancora in tempo per cambiare tutto. Ora va meglio. È andata e amen.
Di cosa racconta il suo romanzo, in uscita a marzo?

Il mio romanzo si intitola In viaggio con lei e racconta il modo in cui quella ragazza che divenne famosa nel ’64 come cantante, vedeva il mondo intorno a lei. Racconta incontri con personaggi noti e riconoscibili, interpretati però liberamente come lei era solita fare. C’è anche lei, mia madre, la cui foto con me bambina appare in copertina, e lei, la solitudine, altra protagonista del libro. E, come in un vortice, c’è il presente, sempre capace di produrre nuove e sorprendenti elaborazioni del passato pur di ingannarci di nuovo.
Come nasce in una cantante l’esigenza della narrazione?
In una cantante, non lo so. Molti artisti a un certo punto scrivono un libro, generalmente autobiografico. Questo genere di libri mi interessa sempre molto per la parte che precede l’evento della notorietà. Dopodiché abbandono la lettura. Il racconto di una carriera non mi interessa. Né vita privata, amori, malattie, lutti, disgrazie varie. Mi interessa la vita. Che non è dell’artista perché la vita appartiene a chiunque sia vivo e non si racconta attraverso eventi straordinari perché essa stessa, lei sola, è straordinaria. Questo mio interesse ha trovato, nella mia esperienza di giovane artista, un punto di osservazione, un’angolatura particolare.
Vista la poliedricità di questa lunga carriera, quali sono i progetti futuri di Gigliola Cinquetti?
Terminerò a primavera la tournée di Agetendre che mi vede impegnata in Francia da circa un anno. Il mio amico Daniel Gerard mi vuole sua ospite all’Olympia in autunno. I colleghi francesi con i quali ho condiviso questa avventura mi spingono a fare un disco. Monty mi ha scritto un bel pezzo, François Valery mi dà consigli sul concept da adottare. Hervé Vilard mi passa indirizzi e raccomandazioni per i migliori ristoranti di Francia. Dave racconta a tutti di quando mi ha incontrata per la prima volta con un libro in mano, unica cantante mai vista intenta a leggere. Lo fa per far arrabbiare le colleghe francesi. Michèle Torr mi parla di nipoti. Insomma, in Francia mi trovo bene. Anche in Italia c’è qualche zuccherino. Il 14 febbraio a Sanremo riceverò un premio alla carriera assegnatomi dai critici storici del festival. Ne sono molto felice. Grazie per questa intervista.

 

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