I terribili “perché”

I fantasmi. L’uomo nero. La straziante fine del piccolo Nemecsek, anello debole dei “Ragazzi della via Pál“, o l’orribile incendio che strappa la mamma al tenero Bambi? Quale tragedia immaginaria si è insinuata per prima tra le pieghe di un’infanzia tutto sommato serena? Non lo so, non ricordo. Ero troppo piccolo per ricordare in quale ordine questi presagi di fine si siano presentati, col loro notevole potenziale di turbamento. Da un lato le pagine di un libro, magari raccontate dalla voce materna, pronta ad incrinarsi nel momento decisivo, dall’altro le terribili, oscene fiamme che travolgono il bosco, separando per sempre mamma cerbiatta dagli occhi terrorizzati del cucciolo innocente.
Qualcosa di nuovo, di sinistramente inquietante si nascondeva in tutt’e due, comunque. La sparizione imprevedibile, violenta, di qualcuno che avevamo, sia pur superficialmente, imparato a conoscere o addirittura ad amare, e che non avremmo mai più rivisto.
Perché? Questa la domanda, confusa e ancora indistinta nella mente infantile, che inevitabilmente seguiva a ruota quei fatti così dolorosi, così irreali da apparire più veri del vero. Cosa collega simili mostruosità alla nostra vita quotidiana, fatta di genitori, scuola, amichetti, giochi e un po’ di TV? Una domanda, allora come oggi, destinata a non avere una risposta sensata.
Ma a rivelare invece tutta l’ essenza concreta della condizione umana.

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